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No, le periferie non vanno più di "moda"

Dai piccoli borghi alle città: dopo la pandemia, i ticinesi tornano in centro. Abbiamo analizzato il fenomeno con Edoardo Slerca (SUPSI).
Ti-Press (archivio)
No, le periferie non vanno più di "moda"
Dai piccoli borghi alle città: dopo la pandemia, i ticinesi tornano in centro. Abbiamo analizzato il fenomeno con Edoardo Slerca (SUPSI).

LUGANO / BELLINZONA - Spazi verdi a due passi, maggiore senso di libertà, telelavoro e prezzi inferiori. Sono alcuni dei motivi che, dalla pandemia in avanti, hanno spinto i ticinesi (e gli svizzeri) a spostarsi nei quartieri più periferici. Oggi, la tendenza “dice” l’opposto. Con Edoardo Slerca, ricercatore della SUPSI del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale, abbiamo fatto il punto e analizzato il fenomeno. Con una premessa: «È ancora presto per individuare delle chiare dinamiche post-covid».

Durante la pandemia c'è stato uno spostamento della popolazione dalle aree centrali a quelle periferiche e rurali. Il fenomeno era presente sia a livello cantonale sia svizzero. Qual è il motivo?
«È bene ricordare come, data la presenza delle restrizioni alla mobilità, fosse diventato fondamentale l’accesso a spazi verdi vicini: conferiva un maggiore senso di libertà. Inoltre, si lavorava da remoto e si poteva beneficiare di canoni d'affitto inferiori».

Ora cos’è cambiato?
«Col passare del tempo ci si è resi conto che gli affitti iniziano a crescere anche nelle zone più distanti dal centro. Molte aziende hanno ridotto il telelavoro, quindi diverse persone si sono viste costrette a prendere i mezzi pubblici o la macchina ogni giorno. E non sempre il gioco vale la candela».

Per un periodo la periferia era “di moda”?
«Di sicuro, in molti hanno scoperto uno stile di vita diverso, iniziando ad apprezzare una nuova realtà meno stressante. Poi, però, sono emersi anche i disagi e le limitazioni che, inevitabilmente, “colpiscono” chi vive più distante dal centro».

Si ha più considerazione del proprio tempo vitale?
«È indubbiamente un aspetto importante, che va a braccetto con l’incremento dell’offerta abitativa nelle zone centrali. Infatti, diversi proprietari stanno ristrutturando uffici e spazi commerciali per trasformarli in immobili residenziali da mettere a reddito. È una novità e non è un incentivo da poco».

A spostarsi sono soprattutto i giovani. Oggi preferiscono stare in città?
«Se ci si deve spostare per lavoro e si torna a casa solo per dormire, risulta difficile creare una rete sociale, che per i giovani è un fattore importante. Quando si sta in una zona più centrale, invece, i luoghi di aggregazione e gli spazi e le occasioni per incontrarsi sono maggiori. Inoltre, in centri come Lugano, non va dimenticato il ruolo delle strutture universitarie che fungono da attrattore naturale».

Sarà così anche in futuro? E come reagirà il mercato immobiliare?
«Sono domande che necessiterebbero della sfera di cristallo. In generale, nelle zone centrali la domanda è sempre relativamente sostenuta e meno sottoposta a fluttuazioni. Tuttavia, la conversione di uffici in immobili residenziali potrebbe avere un effetto calmierante sui prezzi, anche se per ora è difficile fare previsioni nette».

Di recente, il Municipio di Lugano ha pubblicato alcuni dati statistici: aumentano i cittadini nelle zone residenziali più centrali
«È ancora presto per individuare delle chiare dinamiche post-pandemiche. Quello che possiamo rilevare è che tra il 2021 e il 2023 c'è stato un chiaro allontanamento dai quartieri più centrali e una crescita della popolazione nei quartieri di Breganzona, Castagnola, Molino Nuovo e Pregassona».

Nell’ultimo anno, invece?
«Nel 2024, sembra che vi sia stato perlomeno un rallentamento del fenomeno. In particolare, i quartieri centrali come Besso e Loreto che hanno fatto registrare un deciso aumento. Va tuttavia sottolineato come l'attività edilizia (la costruzione di nuovi stabili) guidi spesso la crescita della popolazione a livello locale, come avvenuto negli ultimi anni nei quartieri di Pregassona e Molino Nuovo».

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