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BELLINZONAUn sorriso per quei bambini che si ritrovano in vite difficili

07.10.20 - 18:04
Apertura mentale, empatia e altruismo. La pedagogia curativa richiede particolari attitudini.
Foto Amanda Bella
Un sorriso per quei bambini che si ritrovano in vite difficili
Apertura mentale, empatia e altruismo. La pedagogia curativa richiede particolari attitudini.
Amanda Bella le possiede e racconta la sua esperienza sul campo

BELLINZONA - Amanda Bella, 23 anni, frequenta la facoltà di pedagogia curativa clinica e insegnamento specializzato a Friburgo. Attualmente svolge uno stage in una struttura vicino a Berna che accoglie bambini che, per motivi legati alla loro tutela, non possono vivere con la loro famiglia. Amanda lavora nella sezione “offerta genitore-bambino” che ospita i genitori insieme ai loro figli. Lo scopo è dare loro un sostegno mirato, in modo che possano tornare a crescere i figli autonomamente.

Cosa l’ha spinta a intraprendere un percorso di studi in questo ambito?
«Dopo le scuole medie, ero alla ricerca di un lavoro estivo e ho accettato la proposta di fare volontariato presso una colonia integrata di Pro Infirmis. Mi sono trovata molto bene, al punto da continuare questa esperienza anche negli anni successivi. Dopo la maturità ho deciso, grazie a questo mio interesse, di studiare pedagogia curativa. Mi ha convinta anche lo stage, necessario per l’iscrizione alla facoltà, che ho effettuato presso l’OTAF, da sempre a sostegno di persone con handicap».

Durante il volontariato e lo stage assisteva persone disabili affette da problemi comportamentali.
«Mi occupavo soprattutto di bambini in età prescolare, durante la quale avvengono grandi progressi dal punto di vista dello sviluppo. Si tratta dunque degli anni cruciali per potenziare le capacità del bambino. Il nostro obiettivo, infatti, è incentivare al massimo le loro competenze e la loro autonomia».

La struttura in cui opera accoglie bambini, disabili e non, allontanati dalla loro famiglia. Quali sono i motivi?
«Il collocamento nella nostra struttura avviene se le autorità ritengono che il bambino nella sua famiglia stia crescendo in un ambiente nocivo per la sua salute e per la sua sicurezza. I motivi sono svariati: violenza, alcolismo, dipendenza da droghe, negligenza o stati di esaurimento».

Quali sono le sue mansioni?
«La differenza della sezione “offerta genitore-bambino” rispetto al resto della struttura è che vengono accolti i genitori insieme ai loro figli. Qui ricevono un sostegno mirato in base alle loro problematiche. A seconda della situazione, collaboriamo con persone esterne come psicologi, psichiatri, consulenti famigliari o altri terapisti. Oltre a ciò, una delle nostre mansioni è il reinserimento dei genitori nel mondo del lavoro e, in caso di necessità, il collocamento del figlio in un asilo nido. Questo avviene anche per i bambini che hanno bisogno di essere maggiormente integrati e di socializzare con i loro coetanei».

Cosa apprezza maggiormente del suo lavoro?
«Trovo molto interessante ascoltare le storie di vita delle persone. Da un punto di vista esterno è facile avere pregiudizi, invece io sono confrontata tutti i giorni con situazioni delicate, e ciò mi permette di comprendere cosa ha portato una persona a trovarsi in una condizione problematica. Questi genitori infatti amano i loro figli ma necessitano di aiuto, in primis per sé stessi, per crescerli adeguatamente. Inoltre, sono sempre stata circondata da persone competenti che mi hanno trasmesso dei valori importanti».

 

Piccoli progressi che portano grandi soddisfazioni
«Ciò che mi gratifica maggiormente nel lavoro con i bambini disabili è osservare i loro progressi. Per i normodotati il raggiungimento di un obiettivo come allacciarsi le scarpe è quasi scontato, mentre nel caso di piccoli con disabilità può assumere tutto un altro valore. Per esempio, se un bimbo autistico che solitamente non parla mi dice qualcosa, provo una soddisfazione immensa». Lavorare con persone disabili o con difficoltà di adattamento sociale sa quindi essere molto stimolante. Nonostante ciò, bisogna considerare anche i possibili rischi, come ci spiega Amanda Bella. «È necessario mantenere una certa distanza rispetto a ciò che si vive quotidianamente. Farsi coinvolgere troppo dal punto di vista emotivo è dannoso sia sul lavoro, sia nella vita privata. Bisogna trovare un equilibrio tra empatia e capacità di mantenere un distacco».

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