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«Quei soldi finivano nelle pubbliche relazioni»

Nel processo per l’università fantasma di Chiasso, prendono la parola gli imputati
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«Quei soldi finivano nelle pubbliche relazioni»
Nel processo per l’università fantasma di Chiasso, prendono la parola gli imputati
LUGANO - «Per raggiungere quota 516 studenti iscritti in tre anni, non abbiamo speso nemmeno un centesimo in pubblicità. Ci siamo basati soltanto sulle pubbliche relazioni». È quanto sostiene il cittadino italiano di sessant...

LUGANO - «Per raggiungere quota 516 studenti iscritti in tre anni, non abbiamo speso nemmeno un centesimo in pubblicità. Ci siamo basati soltanto sulle pubbliche relazioni». È quanto sostiene il cittadino italiano di sessant’anni che, assieme a una 48enne, compare oggi alle Criminali presiedute dal giudice Marco Villa per rispondere di diversi reati finanziari relativi alla gestione e al fallimento della IPUS di Chiasso, poi di UNIPOLISI di Disentis, nei Grigioni.

Il dibattimento si è aperto stamattina con l’interrogatorio in merito al primo capo d’imputazione: la ripetuta amministrazione infedele e qualificata. A mente dell’accusa, rappresentata dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, gli imputati avrebbero prelevato dai conti di IPUS i soldi delle rette versate dagli studenti: li avrebbero utilizzati per scopi personali, e sarebbero anche finiti su conti di società e associazioni riconducibili all’imputato.

Ma il sessantenne, negando ogni addebito, afferma appunto che buona parte dei soldi finiva nelle pubbliche relazioni per il reclutamento di nuovi iscritti. Si sarebbe dunque trattato di spese a favore di IPUS.

Per quanto riguarda poi UNIPOLISI, creata a seguito del fallimento di IPUS, l’imputato sostiene che in tale attività non avrebbe più avuto nessuna autonomia decisionale sugli aspetti finanziari: «Non ho mai amministrato UNIPOLISI» ribadisce, spiegando che il denaro trasferito era autorizzato per rispettare gli accordi con gli studenti.

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