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LUGANOL'imam volontario in carcere: «Insegno che l'Isis non è Islam»

30.10.17 - 08:30
Luan Afmataj incontra una volta al mese i detenuti della Stampa. Fra questi anche il presunto jihadista di Lugano
L'imam volontario in carcere: «Insegno che l'Isis non è Islam»
Luan Afmataj incontra una volta al mese i detenuti della Stampa. Fra questi anche il presunto jihadista di Lugano

LUGANO - Il primo incontro è avvenuto un mese e mezzo fa. È stato lui, Umit Y., a chiederlo tramite la Procura. Il giovane svizzero-turco, in carcere da febbraio scorso con l'accusa di essere un reclutatore dell'Isis, voleva vedere un religioso. «Non parlava con nessuno da 50 giorni». A varcare la soglia della cella è stato l'imam Luan Afmataj e, racconta, il colloquio «è durato una mezz'ora. Era visibilmente affranto». Amataj è da sempre lontano dai riflettori, ma è un esponente convinto dell'Islam moderato. Dal 2010, circa una volta al mese si reca alla Stampa per dare conforto ai detenuti musulmani. «Cerco di portarli sulla retta via. Il bravo musulmano è un cittadino modello, questo vuole la nostra religione» enuncia. «Ai detenuti dico questo: chi ha sbagliato, deve pagare e ravvedersi».

Mediatori culturali - Il progetto nelle carceri ticinesi esiste da tempo. Ma con la minaccia terroristica le cose si sono fatte più delicate, negli ultimi anni. «Si rischia di mettere tutto in un unico calderone» afferma Ahmed Hanafi dell'associazione Comunità islamica nel Canton Ticino, che organizza e partecipa agli incontri come volontario assieme all'imam. «La religione non c'entra nulla con i crimini commessi da queste persone. Ma è vero che molti detenuti provengono da paesi di fede musulmana, e per questo occorre una mediazione culturale».

«L'Islam non c'entra» - L'imam Afmataj parla quattro lingue straniere (turco, arabo, albanese e inglese) e ha un curriculum ineccepibile: laurea in teologia, master in dialogo inter-religioso all'Usi. Predica la tolleranza: l'Isis, taglia corto, «per me semplicemente non fa parte dell'Islam». I due mediatori sottolineano come «la stragrande maggioranza dei detenuti musulmani a Cadro non sono praticanti. La loro condotta di vita prima del carcere ne è la prova». E aggiungono: «Il nostro compito è ricondurli al rispetto del prossimo e delle leggi, perché non ricadano nell'errore una volta usciti».

In isolamento - È proprio dentro le carceri però che il rischio di radicalizzazione è più alto. Le notizie dall'estero lo dimostrano. Per questo le misure di isolamento adottate per Umit Y. – il primo presunto jihadista mai ospitato in una prigione ticinese – escludono i contatti con altri detenuti. Ma da sole non bastano. Nel primo tête-à-tête (e unico, per ora) il 32enne è apparso «rattristato» all'imam. «Mi ha ripetuto di essere innocente. Io ho detto che non ero lì per giudicarlo. Gli ho dato dei consigli sulla base della nostra vera fede». Ad esempio? «La fede del musulmano è completa quando i suoi vicini si sentono sicuri: non deve esserci il minimo dubbio». L'imam ripone speranze nel detenuto. «Credo che sia una brava persona, e gliel'ho detto: ma ora deve dimostrarlo».  

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