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Uomini che uccidono le donne. "Lei piange, lui agisce"

Il noto psichiatra italiano Alessandro Meluzzi spiega quali meccanismi scattano negli amanti respinti: "Sono esseri fragili che preferiscono annientare l'oggetto del desiderio e sé stessi"
Foto Ti-Press Carlo Reguzzi
Uomini che uccidono le donne. "Lei piange, lui agisce"
Il noto psichiatra italiano Alessandro Meluzzi spiega quali meccanismi scattano negli amanti respinti: "Sono esseri fragili che preferiscono annientare l'oggetto del desiderio e sé stessi"
LUGANO - Una storia d’amore finita da pochi giorni. Una donna, 40 anni, e il suo compagno, 46enne. Entrambi cittadini croati. Un luogo, l’appartamento di via Nosedo a Massagno, dove i loro corpi sono stati rinvenuti ieri, poco pri...

LUGANO - Una storia d’amore finita da pochi giorni. Una donna, 40 anni, e il suo compagno, 46enne. Entrambi cittadini croati. Un luogo, l’appartamento di via Nosedo a Massagno, dove i loro corpi sono stati rinvenuti ieri, poco prima delle 19.30, privi di vita. Sono le vittime di quello che comunemente e tecnicamente viene definito omicidio-suicidio.
 
"Un eventualità tutt'altro che rara”, secondo lo psichiatra italiano Alessandro Meluzzi. Un caso come altri che, spiega lo psicoterapeuta, “si inserisce in un filone di situazioni sempre più frequenti, quelle legate a una sindrome di abbandono. In genere sono attribuibili a un maschio tendenzialmente fragile e narcisista che, non sopportando l'idea dell'abbandono e non riuscendo a elaborare il lutto, tende a sacrificare l'oggetto d’amore e poi sé stesso. È quindi, fondamentalmente, una variante estrema di una reazione aggressiva alla depressione.”
 
Qual è il prototipo dell'assassino familiare?
"Per lo più siamo di fronte a maschi fragili nelle relazioni umane che, piuttosto che perdere una situazione che li aveva stabilizzati, piuttosto che rientrare nel magma disperato della solitudine, preferiscono annientare l'oggetto del desiderio e sé stessi. Quello dell'omicidio-suicidio del maschio fragile direi che purtroppo è un quadro sempre più frequente e sempre più diffuso".
 
Perdere il posto di lavoro, veder fallire i propri progetti o una amore che non c'è più... Alla base di questo tipo di raptus sembra entrino in gioco fattori che non si possono racchiudere soltanto nella sfera delle psicopatologie. Quale il ruolo della società in questi casi?
"Il ruolo della società è sempre quello di generare gratificazione e frustrazione. Noi siamo immersi in un mondo che in parte (poco) ci fa gioire e (molto) ci fa soffrire. La maturità psicologica sta nel riuscire a elaborare in modo positivo anche gli stimoli negativi. Quindi riuscire a elaborare le perdite, le separazioni e i fallimenti. La forza del Sé si misura proprio in queste cose. Questa sindrome di fragilità e di narcisismo patologico spesso è legata, da un lato, all'impossibilità di elaborare la perdita, e dall'altro, da una certa tendenza a scaricare in un acting out (azione di scarico) una situazione che altrimenti dovrebbe essere metabolizzata in modo più evoluto”.
 
Violenza familiare e casi come questo...C'è un filo conduttore o sono argomenti che vanno tenuti separati?
"Sono molto diversi tra loro. La violenza familiare solitamente è legata al tentativo per lo più fallimentare di esercitare una leadership, una gerarchia, un potere. Il che è molto diverso da casi come questo, che sono risultato invece di una separazione, una rottura, una perdita”.
 
Come si ricompone quindi il conflitto?
"Elaborandola questa perdita, cioè riconoscendo che quella situazione è finita. Evitando quei chiarimenti che sono sempre pericolosissimi. L’incontro chiarificatore rientra in quelle situazioni che si traducono solitamente in un rischio altissimo, soprattutto per la donna. Donna che oggi ha acquisito una certa autonomia, libertà, autodeterminazione. Quindi quando sceglie di porre fine a un rapporto che è diventato faticoso, doloroso o scomodo, rischia di scontrarsi con un soggetto che non è in grado di assorbire il colpo. E che per questo può reagire in una maniera inconsulta e distruttiva”.
 
Visto che parliamo di donne… Nella letteratura fioriscono le vicende che le vedono protagoniste di delitti d’amore. Eppure nella realtà appare il contrario.
"In effetti sono soprattutto gli uomini che uccidono in una situazione di depressione. È anche incommensurabilmente più elevato il numero di maschi che si suicidano. Il suicidio è sempre una forma di violenza e di aggressività, anche se autodiretta. Direi quindi che è il risultato dell'impossibilità, difficoltà, di tradurre in parole, linguaggi e segni, il disagio. Laddove non arrivano le parole, parlano i fatti. In una forma arcaica, regressiva e un po' primitiva di reazione. Ecco perché l'uomo. Per la sua minore attitudine a verbalizzare le emozioni. Parla meno di sé, chiede meno aiuto, piange meno, tende con difficoltà a dividere con altri la sua sofferenza. Mentre la donna ricorre a una psicoterapia, piange e si confida con le amiche, l'uomo agisce".

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