L'uomo che raccoglie i cadaveri

Da oltre due anni lavora sulle scene del crimine. Ma non è un attore. Si occupa di raccogliere salme dopo gli omicidi, suicidi o incidenti, come quelli che hanno scosso il Ticino nelle ultime settimane. La storia del 29enne Paolo Dova.
LOCARNO - Lui recita una di quelle parti da far tremare i polsi. Paolo Dova, operatore funebre, 29 anni, di Losone lavora sulle ‘scene del crimine’. Ma non è un attore. Paolo in pratica raccoglie le salme. O per essere più espliciti, i cadaveri dopo omicidi, suicidi o incidenti. Un mestiere difficile. Vietato a chi è debole di cuore o ha lo stomaco debole. E pensare che fino a qualche anno fa era verniciatore in una carrozzeria. “Ho iniziato a fare questo lavoro il primo di novembre del 2007 – dice –. Sembra uno scherzo del destino vero? Eppure la cosa non era voluta”.
Ma come si passa da verniciatore in una carrozziere a raccoglitore di salme?
"La mia è una storia un po’ particolare. Accanto alla carrozzeria in cui lavoravo c’è il magazzino di una ditta di onoranze funebri. Mi capitava di parlare spesso con Danilo Osenda, titolare della ditta Arte Funeraria, di Locarno. Il suo lavoro mi incuriosiva. Così, a un certo punto mi sono detto: perché non provare? Tanto a me certe cose non facevano impressione. Poco più tardi mi ha assunto. Devo precisare che quella del raccoglitore di salme, tuttavia, è solo una parte del mio lavoro, che in realtà è molto più ampio. Mi occupo di tutto ciò che riguarda le onoranze funebri".
Le capiterà di vedere scenari atroci. Che effetto le fa?
"Ho i nervi saldi e riesco a restare freddo anche nelle situazioni più terribili. Il sangue non mi turba. Io esco, eseguo il mio lavoro e rientro alla base. Senza farmi troppe domande. Quando mi reco in un posto in cui è accaduta una tragedia non mi chiedo mai ‘chissà cosa mi troverò di fronte’. Di solito usciamo in due. In modo da farci forza a vicenda e sdrammatizzare. In ogni caso io riesco a mangiare e a dormire come quando facevo il carrozziere".
Possibile che non ci sia qualcosa che la scuote?
"A dire il vero qualcosa c’è. A volte mi capita di raccogliere corpi abbandonati già da qualche giorno. E lo ‘spettacolo’ in questi casi è difficile da digerire. A colpirti è soprattutto l’odore nauseabondo. E poi i vermi, le mosche che dilaniano il cadavere. Abbiamo la tuta, la mascherina. Dal punto di vista dell’igiene, siamo protetti. Ma ci vuole comunque pelo sullo stomaco. Anche per questo abbiamo una certa prassi".
Cioè?
"Di solito quando andiamo a raccogliere una salma, prima si fa un rapido sopraluogo in modo da visualizzare bene la situazione. Poi si stacca qualche minuto e si ritorna sul posto un attimo più tardi. È un modo per prepararsi a livello psicologico e per essere, di conseguenza, efficaci".
È cambiato il suo modo di vedere la vita in questi ultimi due anni?
"Un po’ sì. È un mestiere che ti aiuta a relativizzare certe cose. Soprattutto se la vittima è un giovane ti viene da pensare. Io mi sento come uno che fa da tramite tra la vita terrena e l’aldilà. In un certo senso noi contribuiamo ad accompagnare le persone attraverso un passaggio. E quando succede di trovare una salma in brutte condizioni, provi anche una certa soddisfazione a sistemarla un po’. In modo che i parenti abbiano un’ultima immagine dignitosa del proprio caro".
Foto d'apertura: Archivio Tipress / Gabriele Putzu



