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SVIZZERAI pericoli del capitalismo reale

10.04.12 - 19:25
La carriera di milioni di giovani in Europa è già compromessa sul nascere. Il lavoro come fattore di pericolo scatenante una nuova guerra globale
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I pericoli del capitalismo reale
La carriera di milioni di giovani in Europa è già compromessa sul nascere. Il lavoro come fattore di pericolo scatenante una nuova guerra globale

ZURIGO – Interessante riflessione oggi sul Tages Anzeiger. Philipp Löpfe descrive quelle che sono le conseguenze del capitalismo reale.

Sono 25 milioni i disoccupati in Europa. Quell'Europa, si intende, che ha deciso di partecipare a quel progetto di Unione avviato nel dopoguerra. 25 milioni di persone senza lavoro. Scandalosa è la situazione riguardante la disoccupazione giovanile. Una persona attiva su 5 sotto i 25 anni è senza lavoro. In Grecia e Spagna si sale a una su due, in Italia a una su tre. Questo significa che la carriera di milioni di giovani è compromessa ancora prima di iniziare. Da dove deriva questo disprezzo, così cinico, nei confronti della propria gioventù, del proprio domani e a questo sperpero di capitale umano?

Nel dopoguerra l'economia sociale di mercato in Europa è stata un successo. Per tre decenni ha garantito piena occupazione, diminuzione delle ore di lavoro, aumento dei salari e prestazioni sociali migliori. Un successo che si è basato sull'equilibrio delle forze in campo. Imprenditori, sindacati si incontravano ad armi pari. Tra quelli che erano chiamati i padroni vi era una classe dirigente che si sentiva di portare sulle spalle un’importante responsabilità sociale e i rappresentanti politici rappresentavano uno stato sociale in cui predominava il pragmatismo della generazione che ha vissuto la tragedia del Secondo Conflitto Bellico Mondiale.

Eppure anche loro sono moralmente colpevoli. Sì, perché la paura del comunismo ha contribuito a non mettere mai in discussione o a ridiscutere il modello dell'economia sociale di mercato.

Decisivo per il successo di questo modello è l'accresciuto benessere di un'economia sempre più produttiva. Un benessere che veniva ridistribuito in modo equo. Dalla crescita economica tutti riuscivano a trarne beneficio. Ciò non era soltanto leale e giusto, ma rappresentava anche un beneficio per l'intera economia. Un ceto medio più ricco assicurava una domanda in costante aumento. Inoltre il mercato del lavoro era regolato in modo tale che l'aumento della produttività si traduceva in prodotti sempre meno cari e a una diminuzione degli orari di lavoro.

I cambiamenti sono iniziati, seppur lentamente, negli anni Ottanta. A poco a poco si è sempre più fatta strada l'ideologia dello "shareholder" che ha sradicato a poco a poco il modello sociale di economia di mercato. Quello che una volta era considerata un'ovvietà, ossia la piena occupazione e la ridistribuzione della ricchezza in salari onesti che assicurassero una vita dignitosa - è stata messa in discussione. Quello che fino a quel momento era considerato un tabù, ossia utili a due cifre e bonus a sei cifre, si è via via imposto, diventando come normalità. E se da un lato, tuttavia, il benessere è aumentato grazie all'aumento della produttività, dall'altro esso non è stato più ridistribuito in modo corretto, ma unilateralmente. Una sempre maggiore parte dei guadagni va a finire agli azionisti, che a loro volta riversano nei mercati finanziari. Mercati finanziari che si sono gonfiati come una bolla gigantesca. Nel giro di pochi decenni banche e hedgefonds sono riusciti a conquistarsi un potere mai visto prima.

Uno sviluppo questo che è stato possibile grazie alla globalizzazione. Sindacati e governi nazionali sono stati sempre più declassati nella loro funzione e importanza. E' l'economia mondiale che si è trasformata in una sorta di ecosistema, in cui le grandi multinazionali e le banche non hanno più nemici naturali. E tutto ciò si è ripercosso sul mercato del lavoro. L'istituto di ricerca Gallup lo scorso anno ha sottolineato il fatto che nel mondo sono tre i miliardi di persone che cercano un lavoro onesto e dignitoso. I posti a disposizione di questo genere, però, sono soltanto 1,2 miliardi e ne mancano quindi 1,8. Di fronte a queste disparità il numero uno di Gallup, Jim Clifton: "La prossima guerra mondiale sarà totale e globale e si concentrerà sulla lotta nel mercato del lavoro". E i senza lavoro europei under 25 sono vittime di questa guerra.

Il libero scambio e i mercati aperti sono stati considerati tra gli economisti un'ovvietà, un valore intoccabile e indiscutibile. Ora, però, il vento sta cambiando. Economisti rinomati come Dani Rodrik o Jeffrey Sachs constatano che in un modo iperglobalizzato, gli svantaggi sono aumentati in modo vertiginoso e sono di gran lunga maggiori rispetto ai vantaggi. Gli esperti chiedono ora il cambiamento, un cambiamento di mentalità che non contempli la rivoluzione in senso comunista. Il socialismo reale, che portava con sé il sogno di una società giusta, ha avuto un esito disastroso. Oggi bisogna evitare che il capitalismo reale si trasformi in un decadente feudalesimo della finanza.
 

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