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STATI UNITITrump vuole «punire» la Cina

30.04.20 - 23:27
The Donald: Pechino è «pronta a tutto per non farmi rieleggere». E studia ritorsioni
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Fonte ATS
Trump vuole «punire» la Cina
The Donald: Pechino è «pronta a tutto per non farmi rieleggere». E studia ritorsioni

WASHINGTON - Donald Trump sembra sempre più propenso a far pagare le conseguenze della pandemia di coronavirus alla Cina, convinto tra l'altro che Pechino preferisca Joe Biden alla Casa Bianca e che "farà qualunque cosa per farmi perdere la rielezione".

«Ci sono molte cose che posso fare, stiamo esaminando cos'è successo», ha avvertito in un'intervista alla Reuters poco prima che il Washington Post rivelasse che la Casa Bianca ha già iniziato ad esplorare alcune proposte per punire o chiedere indennizzi finanziari al Dragone per la gestione della crisi.

In privato, scrive il quotidiano, Trump e alcuni suoi consiglieri hanno discusso l'ipotesi di togliere alla Cina la sua "immunità sovrana" per consentire al governo Usa, alle vittime di coronavirus o ad altre parti di citare Pechino per danni, come stanno già tentando di fare lo Stato del Missouri e alcune grandi aziende. Una strada, spiegano gli esperti legali, estremamente difficile e che potrebbe richiedere una legge del Congresso.

Altri dirigenti hanno ventilato l'idea di cancellare parte dei debiti obbligazionari con la Cina ma non è dato sapere se il presidente l'abbia appoggiata. In ogni caso ora nella battaglia tra l'approccio cauto dei consiglieri economici, che invitano alla prudenza per i negoziati commerciali in corso, e quello punitivo del team della sicurezza nazionale sembra prevalere il secondo. Due delle quattro fonti anonime del giornale preannunciano un incontro specifico tra dirigenti di varie agenzie governative per elaborare una strategia di ritorsioni.

Sono coinvolti anche responsabili delle agenzie di intelligence, cui nei giorni scorsi Trump ha ordinato di cercare prove attestanti la teoria finora non dimostrata che l'origine del Covid-19 sia legata al laboratorio di virologia di Wuhan. Per ora gli 007 Usa «concordano con il largo consenso scientifico che il virus non è stato prodotto dall'uomo o geneticamente modificato», ha fatto sapere la National intelligence (Dni), che coordina tutte le agenzie del settore. Ma la Dni assicura che «continuerà ad esaminare rigorosamente le informazioni che emergeranno per determinare se la diffusione è cominciata tramite contatto con animali infetti o se è il risultato di un incidente di laboratorio».

Alcuni esperti temono che la pressione sugli 007 possa distorcere le valutazioni sul virus e che esse siano usate come un'arma politica per intensificare la battaglia con Pechino.

La Cina ha subito reagito: le elezioni Usa sono «un affare interno», ha ricordato il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, auspicando che i politici americani «non trascinino» nella contesa anche Pechino. «Quanto a punizioni e responsabilità, questa retorica non ha alcuna base legale e non c'è alcun precedente internazionale. Minare ora gli sforzi degli altri finirà col danneggiare i propri», ha aggiunto.

Intanto Trump ha deciso di non prorogare le sue linee guida sul distanziamento sociale che scadono oggi dopo 45 giorni, nonostante i casi di coronavirus abbiano superato il milione e i morti quota 61 mila, con un aumento nelle ultime 24 ore (2'502). Mezza America si prepara così a riaprire, con almeno 28 su 50 Stati che entro venerdì allenteranno le restrizioni, dalla Florida al Montana, dal Minnesota all'Oklahoma, mentre il virologo Anthony Fauci, il volto più noto della task force Usa contro il coronavirus, si è detto ottimista sulla sperimentazione dell'antivirale Remdesivir e sulla possibilità di arrivare ad un vaccino in Usa entro gennaio.

Il tycoon invece ha preannunciato il suo ritorno ai comizi, dopo aver ha sfogato la sua ira contro il suo campaign manager Brad Parscale, che dopo la gaffe sulle iniezioni di disinfettanti gli aveva suggerito di limitare i briefing mostrandogli un paio di sondaggi interni che lo indicavano dietro Joe Biden in alcuni Stati in bilico nelle presidenziali.

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