Thailandia-Cambogia: tempio conteso, Onu dà ok a Phnom Penh
Con un verdetto raggiunto all'unanimità, e non appellabile, i giudici dell'Aja hanno deciso che "il promontorio di Preah Vihear" - parte dei 4,6 chilometri quadrati contesi con la Thailandia - appartiene alla Cambogia, e che l'esercito di Bangkok deve ritirare le truppe da quella porzione di territorio. Per il resto della zona contesa, che dai primi calcoli corrisponde a circa i tre quarti di quei 4,6 kmq, il tribunale ha rimandato la questione alle due parti, che finora sono state incapaci di trovare un accordo.
Il verdetto si era reso necessario dopo la richiesta della Cambogia di interpretare la sentenza della Corte del 1962, con la quale il possesso del tempio era stato attribuito a Phnom Penh. Nel 2011, una serie di scaramucce di confine aveva causato 18 morti tra i due eserciti, causando vittime anche tra i civili e un'escalation nella presenza militare al fronte.
Mentre a Bangkok migliaia di manifestanti anti-governativi sono in piazza da dieci giorni, in protesta contro una controversa legge di amnistia politica, è da vedere come il verdetto "a metà" della Corte influirà sulle scelte della frangia più nazionalistica dello spettro politico thailandese, anch'essa fortemente contraria al governo di Yingluck Shinawatra, di cui chiede le dimissioni; il primo ministro è la sorella minore dell'ex premier in auto-esilio Thaksin, di cui l'opposizione teme il ritorno in patria.
Già nel 2008, quando al potere c'era un esecutivo pro-Thaksin, decine di migliaia di "camicie gialle" iniziarono una campagna di protesta che si protrasse per mesi, portando all'occupazione della sede del governo e poi degli aeroporti di Bangkok, per concludersi con la caduta del governo per via giudiziaria. In quel contesto, la riapertura della ferita della "perdita" di Preah Vihear - resa più dolorosa dal senso di superiorità che l'élite thailandese prova verso i cambogiani - aveva fornito nuovi pretesti ai nazionalisti per continuare a protestare.




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