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Tra emozione e informazione, professione reporter di guerra

ITALIATra emozione e informazione, professione reporter di guerra

04.10.22 - 06:30
Il giornalista italo-svizzero Luca Steinmann ci spiega cosa vuol dire raccontare la guerra.
MN
Tra emozione e informazione, professione reporter di guerra
Il giornalista italo-svizzero Luca Steinmann ci spiega cosa vuol dire raccontare la guerra.

MILANO - Come un figliol prodigo che torna a casa. O meglio nella scuola dove si è formato e che ha frequentato fino all’ottava. Luca Steinmann, il giornalista di guerra italo-svizzero, che così bene ha narrato la guerra in Ucraina per diversi media italiani e svizzeri, ha incontrato negli scorsi giorni allo Swiss Corner - nel Centro svizzero di Milano - gli studenti e i professori della scuola svizzera. Un incontro in cui ha raccontato della sua esperienza personale di mesi al fronte.

«Sono arrivato, insieme al fotografo Gabriele Micalizzi con cui avevo progettato questo viaggio, il 18 febbraio a Donetsk nei territori della regione del Donbass controllati dai russi essendo la persona giusta nel posto giusto - ha spiegato Luca Steinmann incalzato dalle domande di Micaela Crespi, sua ex insegnante di storia - Il giorno dopo infatti i russi hanno chiuso le frontiere e nessun giornalista straniero è potuto più entrare. Mi sono trovato a testimoniare un conflitto storico epocale che cambierà per sempre le relazioni internazionali dal lato dei russi».

Gli orfanelli in cantina

Sono molte i racconti che Luca Steinmann, fresco vincitore del Premiolino, prestigioso riconoscimento giornalistico, si è portato dopo quattro mesi di lavoro in Donbass.

Storie di famiglie, di bambini abbandonati o che hanno perso i genitori. «A Mariupol abbiamo filmato un gruppo di bambini orfani che vivevano da soli in una cantina. Due fratellini Dima e Paolina i cui genitori sono morti durante i bombardamenti e che non avevano nemmeno l’acqua. Che, però, venivano aiutati dalla gente del quartiere in un clima di grande solidarietà». Ma anche di anziani che non vogliono lasciare le proprie case e che resistono. «Ricordo Gyorg, un signore di 84 anni che non voleva abbandonare la sua casa e che ha deciso di rendere abitabile la sua cantina portandoci provviste».

In bilico tra distacco ed emozioni
Un ruolo difficile quello del giornalista in bilico tra due fuochi e che deve mantenere la propria indipendenza ma allo stesso tempo relazionarsi e mantenere contatti con le persone che ha intorno.

«Il lavoro giornalistico è anche empatia e solidarietà con chi ha fatto altre scelte come i soldati. Per esempio, quando andavo al fronte per raccontare i fatti, non geo-localizzavo la mia posizione in una trincea per non mettere a rischio i militari che potevano essere bombardati. Da qui passa la narrazione del rapporto tra soldati e giornalisti anche se devi mantenere un certo distacco per non fare credere loro di essere dalla loro parte e devi descrivere i fatti secondo il tuo punto di vista. Esiste un delicato rapporto tra informazione, sicurezza e umanità», aggiunge dando una previsione sulla continuazione del conflitto.

«Sarà molto difficile per la Russia farsi voler bene da queste persone»
«I reclutamenti di massa di questi giorni nei territori controllati e in Russia, fanno pensare che ci stia preparando a scontri imminenti. Secondo me l’Ucraina non arriverà mai a riconquistare tutti i territori del Donbass e temo che sia ancora un conflitto molto lungo. Il risultato del referendum era scontato, già da prima che iniziassero la Russia aveva già deciso l’annessione. Ci sono file di persone al voto che sono andate anche per mostrare di essere al fianco di Mosca. Nel sud invece, in quei territori che sono diventati russi da febbraio in poi a seguito dell’avanzata di Mosca, i Russi stanno avendo difficoltà perché anche popolazioni ideologicamente vicine a loro, si sono trovate a passare da una vita normale a una guerra che ha significato e significa per loro distruzione, isolamento internazionale. Sarà molto difficile per la Russia farsi volere bene da queste persone».

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