Sempre più emoji citate come prove in tribunale

E molti giudici sono impreparati, l'esperto: «Se c'è una faccia che fa l'occhiolino prima di una frase, il modo di leggerla cambia radicalmente»
NEW YORK - Le emoji e le loro "antenate" emoticon stanno diventando sempre di più protagoniste dei processi, usate da accusa e difesa per dimostrare le proprie tesi. A rilevarlo è Eric Goldman, un esperto dell'università di Santa Clara, che ha fatto un conteggio, iniziato nel 2004, e ha rilevato che la crescita è esponenziale, tanto da cogliere impreparati gli stessi tribunali.
Il ricercatore ha fatto un monitoraggio su alcuni database sull'uso della parola "emoji" o "emoticon" nelle cause. In un caso ad esempio gli investigatori stavano cercando di provare che un uomo fosse responsabile di sfruttamento della prostituzione, e hanno usato tra le prove anche una chat in cui l'accusato aveva inviato ad una donna l'immagine di tacchi a spillo e quella di una valigia piena di soldi, che invece secondo l'avvocato difensore era solo un tentativo di interrompere la relazione con la donna.
Altri esempi riguardano diversi tipi di crimine, riferisce Goldman, dall'omicidio al furto, ma in molti casi le corti non considerano le "faccette" come prove ammissibili.
«Appaiono come prove, le corti devono prenderne atto, ma sono spesso considerate irrilevanti dai giudici - spiega l'esperto -. Ma sono una parte cruciale della conversazione, e devono essere comprese e non ignorate. Immaginate se c'è una faccia che fa l'occhiolino prima di una frase, il modo di leggerla cambia radicalmente».
La questione non riguarda soltanto gli Usa. In Israele ad esempio un giudice ha condannato una coppia a pagare un soggiorno in un albergo perchè secondo lui gli emoticon festosi inviati alla struttura valevano come conferma della prenotazione.




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