Il dottor Gelshorn è ora in pensione: «Di picchetto giorno e notte, indelebili nella mia memoria i tanti annegamenti al fiume»
VERZASCA - Il dottor Christoph Gelshorn, 66 anni, medico di famiglia di Verzasca, è andato in pensione. Il 31 dicembre scorso, per l'esattezza, dopo circa 30 anni di servizio dedicati alla comunità vallerana.
Di origine tedesca, è arrivato qui nell'aprile del 1996, quando in Val Verzasca si cercava un professionista che volesse avviare il centro medico situato a metà valle. Lo abbiamo raggiunto per una cartolina su questi tre decenni.
Com'è cambiata la sua vita dal 1° gennaio scorso?
«Sicuramente è molto più tranquilla. Per 29 anni, sono stato di picchetto per la Valle Verzasca giorno e notte, salvo i fine settimana, quando era condiviso con i colleghi di Locarno. Adesso non ci sono più telefonate e nessuna urgenza. La vita si è calmata, abbastanza improvvisamente, devo dire. Ad ogni modo proseguo a lavorare, seppur poco, nell’altro studio a Gordola insieme ad alcuni colleghi».
Se lo ricorda il suo primo giorno di lavoro?
«Era l’aprile del 1996. È ancora vivido nella mia memoria il giorno in cui è stato avviato il centro medico. Era una novità, essendo attrezzato con tutti gli strumenti necessari per fare elettrocardiogrammi, radiografie, analisi di laboratorio… mi ricordo la sala d’attesa piena. Ma lo studio medico non era ancora del tutto funzionante. I primi giorni sono stati abbastanza complicati, ma anche molto emozionanti. Mi chiedevo se la popolazione della Val Verzasca mi avrebbe accettato. Si dice sia abbastanza chiusa, ma devo dire che mi sono subito sentito ben accolto».
Perché ha scelto di fare il medico di famiglia?
«Per me è un bel modo di fare medicina e di praticare questa professione. Soprattutto quando si lavora nelle periferie, in una valle di montagna come questa, per esempio, si è molto vicini alle persone. Si fanno molte visite a domicilio e con il tempo si conosce tutto quel che sta attorno al paziente. Si possono comprendere le cause di certe malattie e si comprende meglio come curarli. A volte, quando uno specialista prescrive una pastiglia per la pressione alta, non indaga sulle vere cause. Avendo la possibilità di osservare il contesto in cui si trova una persona si può agire anche meglio sui fattori di rischio».
Come è cambiata la sua professione nel tempo?
«Dal mio punto di vista la medicina è diventata sempre più specializzata. In certe patologie l’approccio della medicina di base è stato proprio perso, purtroppo. I giovani medici preferiscono specializzarsi in cardiologia, nefrologia, neurologia. Mancano coloro che vogliano intraprendere la strada del medico di famiglia. A mio parere è una figura molto importante che permette di risparmiare in termini costi. Quando si conosce un paziente da tanti anni, questo tipo di medicina è anche quella più economica. È importante preservarla soprattutto nelle zone più discoste».
Lungo questi anni, ci sono stati dei momenti particolarmente difficili?
«Sicuramente i tanti annegamenti al fiume e i colloqui con i familiari: molto difficili e toccanti. I primi tempi, tutte le estati, c'erano almeno tre o quattro morti. Per fortuna, grazie alle campagne di prevenzione, sono diminuiti. Inoltre, in qualità di medico d’urgenza del Salva, ero spesso il primo che arrivava su un luogo di un incidente stradale. Sono state esperienze spesso drammatiche».
C’è un caso che le ha dato particolare soddisfazione?
«Qualche anno fa ho conosciuto una donna, una contadina di 96 anni. Nella sua vita aveva avuto otto figli, tutti nati in casa. Mi aveva fatto promettere di non portarla mai in ospedale e di continuare a curarla fino alla fine dei suoi giorni tra le mura della sua abitazione. E così ho fatto. La signora è venuta a mancare a 104 anni. In questi otto anni ho continuato ad assisterla a domicilio e nel mentre lei mi raccontava tantissime storie sulla Verzasca e dei tempi che furono».
Come è stata presa la sua dipartita dai suoi pazienti?
«Erano dispiaciuti, ma allo stesso tempo grati per aver trovato un successore. Si tratta di Gianandrea Gajo, di Locarno, a cui faccio tanti auguri».
Che cosa farà ora?
«La mia grande passione è andare in barca a vela. Recentemente ne ho acquistata una d’occasione che mi aspetta a Genova. Sicuramente la prossima estate salperò con mia moglie per girare Corsica, Sardegna e Isola d’Elba. Mi prenderò qualche mese da dedicare alla mia passione senza avere lo stress di dover tornare a lavoro».
La sua famiglia sarà contenta.
«Sicuramente sì. C’è stato tanto sacrificio anche da parte loro. Capitava spesso che una volta buttata la pasta, dovevo scappare. Non avevo mai orario. Per la mia famiglia non è stato sicuramente facile».
A distanza di 30 anni sceglierebbe ancora di fare il medico di famiglia?
«Sì, sempre. È una professione che mi ha dato davvero tanto».