L’immobiliarista che possedeva gli stabili del degrado risponde alle critiche: «Ho venduto due anni fa, la responsabilità è a vita?»
BEDRETTO - Un filo rosso lega i palazzoni del disagio sociale. Da Biasca a Pregassona, passando per Massagno e Chiasso. Spunta o meglio spuntava sempre lui, Emilio Orelli immobiliarista valligiano di cui laRegione, raccogliendo le testimonianze di ex collaboratori, ha raccontato il modus operandi: ricavare il massimo dagli affitti senza investire un franco in migliorie.
È un ritratto in cui si rispecchia?
«Premetto che gli immobili li ho venduti da più di due anni».
Epperò è un’eredità che si porta dietro, giusto? È un caso che tutte queste proprietà erano in mano sua o era un suo modo di fare imprenditoria?
«Non è un segreto che gli immobili erano già tutti datati. Erano già vecchi prima che li acquistassi e sono più vecchi adesso. Tutto qui».
Cioè lei dice che erano già fatiscenti quando li ha acquistati…
«Non li abbiamo rovinati certo noi».
Ma il fatto di investire il minimo…?
«Non entro nel merito perché quando si vuole dare addosso per qualcosa... Che poi, ripeto, è già due anni che li ho venduti. Uno se voleva metterli a nuovo poteva farlo...».
Rinnovarli è un problema perché significa mandare via chi ci abita o perché poi bisogna alzare gli affitti?
«Non si può certo fare una ristrutturazione integrale con la gente che vive negli appartamenti. Se si vuole intervenire radicalmente l’immobile va svuotato».
Lei, adesso, si è liberato di queste proprietà perché le dava fastidio il fatto che ogni tanto capitava qualche casino?
«Immobili senza problemi non ce ne sono. Dai piccoli ai grossi, sfido chiunque a trovarne. È utopia. Se si vuole far credere che succeda solo nei miei… va bene...».
Oggi è rimasto nel settore immobiliare o ha venduto tutto?
«Quasi tutto. Diciamo i quattro quinti».
Immobiliarista della Val Bedretto e uno pensa alle montagne e ai rustici ben tenuti. Poi, invece, in pianura i suoi inquilini vivono in bicocche fatiscenti...
«Non è così. Prendiamo il caso di Pregassona, che ha fatto scalpore. Cosa c’entra il proprietario se uno tiene un appartamento in quello stato e si barrica in casa? Al massimo il proprietario è la vittima».
Forse però l’alta percentuale di inquilini problematici tutti riuniti in uno stabile fa sì che ognuno si senta autorizzato a fare quello che vuole… Le strutture degradate invitano al vandalismo, o no?
«Ma non è così. Evidentemente nelle fascia bassa d’affitto ci sono tutta una serie di problematiche assenti nella fascia alta d’utenza. Il costo dell’affitto seleziona il mercato. Logico che una persona con certi problemi non può permettersi di vivere in villa sul Brè».
È contento di essere uscito da quel campo d’affari, se ne è pentito?
«Se si potessero evitare i problemi… Ma è stata una scelta dettata da diversi motivi».
Intervenire con la manutenzione degli immobili costa troppo?
«Ma non concerne solo me. Il parco immobiliare ticinese per il 60-70 per cento è stato costruito negli anni 1965-70. Sono tutti edifici che prima o dopo si troveranno davanti allo stesso bivio: o intervenire in modo radicale o vendere a chi farà gli interventi».
O che non li farà…
«Certo. Ma non sono stabili che non possono ancora andare avanti così. Quando si vuole enfatizzare, è inutile spendere parole».
La infastidisce che si punti il dito contro di lei?
«Ho venduto e mi chiedo se la responsabilità è a vita. Se tra duecento anni il palazzo crollerà perché nessuno ci ha messo mano tireranno fuori ancora il mio nome?».
Però i suoi ex dipendenti sostengono che le sue migliorie erano di facciata. Solo per strappare il consenso al tutore degli inquilini assistiti.
«Non strappiamo niente perché gli inquilini non erano obbligati a venire nei miei palazzi. E i tutori erano una percentuale infima».