L’agonia del Museo della storia medica ticinese vissuta dal responsabile Ivo Giulietti. Un piccolo dramma che si consuma nel Cantone con la maggiore densità di spazi culturali della Svizzera
CADENAZZO – «Se non cambia qualcosa, a fine giugno siamo costretti a chiudere». Sospira, Ivo Giulietti, 68 anni, responsabile del Museo didattico della storia medica ticinese, gestito a Cadenazzo con la moglie Danila (57). La struttura, lanciata dai coniugi nel 2009, inizialmente a Taverne, è in grosse difficoltà finanziarie. Le entrate non bastano più a garantirne la sopravvivenza. «Anche se comunque gli interessati non mancano – assicura Giulietti –. Per i prossimi mesi abbiamo già 150 prenotazioni».
Un caso emblematico – Quello del Museo didattico della storia medica ticinese è un caso emblematico. Un piccolo dramma che si consuma nella “terra dei musei”. Sì, perché in Ticino, stando all’Osservatorio culturale del Cantone, i musei e i centri culturali sono ben 94. Molti sono privati (quasi la metà), di piccole dimensioni, e nella stessa identica situazione economica di quello di Cadenazzo. L’Ufficio federale di statistica parla di 25,1 musei ogni 100mila abitanti in Ticino. Il doppio rispetto alla Svizzera tedesca e alla Romandia.
I sussidi non bastano – Troppi musei per un bacino, comunque, limitato? Forse. Anche se il Cantone indica che il numero di visitatori nei musei ticinesi mediamente si aggira attorno alle 600.000 unità. Neanche pochi. Sta di fatto che c’è chi è con l’acqua alla gola. «Il nostro problema è l’affitto – sostiene Giulietti –. Paghiamo 24.000 franchi all’anno. Attualmente riceviamo sussidi dall’Istituto Biochimico di Lugano (IBSA) e dall’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC). Purtroppo non ci bastano. La nostra speranza è che l’EOC ci dia qualche contributo in più. In fondo il nostro è un museo unico».
Niente aiuti statali – E per certi versi Giulietti ha ragione. La sua è una collezione enorme, realizzata grazie alle donazioni di cittadini, medici, chirurghi. E permette al visitatore di fare un viaggio a ritroso di almeno 200 anni nel mondo della sanità della Svizzera italiana. «Purtroppo il nostro non è un museo etnografico. E quindi non può beneficiare degli aiuti statali. Però forniamo un servizio importante alle scuole e ai cittadini in generale. Non capiamo, ad esempio, perché l’ordine dei medici continui a non considerarci».
La rivincita dopo l’incidente – Dalle parole di Giulietti si capisce come dietro a quel museo ci sia anche un aspetto emotivo importante. La struttura è, infatti, stata lanciata da marito e moglie, due anni dopo un grave incidente in moto che li ha messi a dura prova. «Mia moglie oggi è in sedia a rotelle. Anche per questo il museo è dotato di infrastrutture per disabili. C’è tanta sensibilità da parte nostra». Anche se il 68enne non lo dice, si capisce come quel museo abbia in un certo senso dato una seconda vita alla relazione tra Ivo e Danila. «Sono diverse notti che non dormo – conclude –. Ho paura di dovere chiudere. Qualcuno ci aiuti».