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PARTITO COMUNISTA

Esportazione di materiale bellico, il parlamento svizzero si piega nuovamente alla NATO

Opinione del Partito Comunista.
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Fonte PARTITO COMUNISTA
Esportazione di materiale bellico, il parlamento svizzero si piega nuovamente alla NATO
Opinione del Partito Comunista.

BELLINZONA - Il Partito Comunista esprime profonda preoccupazione per gli sviluppi politici delle ultime settimane relativi al settore della difesa. Da un lato, il Consiglio degli Stati ha approvato una mozione per impedire la delocalizzazione di SwissP Defence, oggi proprietà del gruppo privato italiano Beretta. Una mozione che non sarebbe mai stata necessaria se l’azienda – un tempo parte integrante della RUAG Ammotec, patrimonio industriale svizzero – fosse rimasta sotto controllo pubblico. Dall’altro lato, il Consiglio Nazionale ha approvato un notevole allentamento della legge sul materiale bellico, autorizzando le aziende svizzere (de facto Beretta) a esportare armamenti verso paesi coinvolti in conflitti armati (casualmente la maggioranza di questi paesi fanno parte della NATO). Una svolta gravissima per la neutralità svizzera, che il Governo tenta di minimizzare ma che di fatto trasforma il Paese in parte indiretta di guerre altrui. Queste due decisioni sono il prodotto delle stesse dinamiche di privatizzazione, subordinazione agli interessi del capitale e progressiva erosione della neutralità svizzera con il risultato della svendita di un settore strategico nazionale a interessi privati e, peggio ancora, stranieri.La trasformazione di RUAG Ammotec da impresa statale a proprietà privata rappresenta un caso esemplare di come la privatizzazione di un settore strategico porti inevitabilmente alla perdita di sovranità. Finché essa era in mani pubbliche, la produzione militare svizzera era posta sotto controllo democratico e rispondeva a un mandato di interesse generale: garantire l’autonomia militare e la sicurezza del Paese. Ma con la privatizzazione, ciò che era un compito sovrano è stato subordinato alle esigenze del profitto:

    • Beretta non ha rispettato gli impegni relativi alla salvaguardia dei posti di lavoro svizzeri, come oggi dimostra la volontà di delocalizzazione;
    • le difficoltà economiche della nuova gestione privata spingono la dirigenza verso i mercati internazionali del commercio d’armi, premendo politicamente per un allentamento della legge svizzera sul materiale bellico, facendo passare la logica industriale da “difesa nazionale” a “massimizzazione delle esportazioni”;
    • La Confederazione, dopo aver ceduto un settore strategico, si trova ora costretta a correre ai ripari, approvando mozioni difensive che non sarebbero mai state necessarie se la sovranità industriale fosse rimasta intatta.

Questo è il prezzo della privatizzazione: perdita di controllo, ricatti occupazionali, dipendenza dal capitale e pressioni politiche che generano ulteriori concessioni al mercato degli armamenti e alle grandi potenze.Come avevamo dichiarato nel 2022, “la svendita a Beretta significa aver perso il controllo pubblico sull’esportazione delle munizioni fabbricate nel nostro Paese. Questo significa che le armi svizzere, già ora principalmente indirizzate alla NATO, saranno commerciate liberamente nei paesi in guerra, e oggi non si può non pensare in mano a chi finiranno in Ucraina”. L’allentamento della legge sulle esportazioni belliche non è insomma un dettaglio tecnico, né un’eccezione: è una frattura nella neutralità elvetica. Una Svizzera che esporta armi a paesi in guerra non può più assolvere al suo compito di paese neutrale (e dunque potenzialmente di mediatore), ma diventa un attore economico coinvolto (indirettamente) nei diversi scenari bellici. La neutralità non solo non può convivere con la ricerca di profitto attraverso il commercio d’armi, ma nemmeno può sopravvivere se il settore della difesa nazionale viene consegnato a un gruppo privato che, in nome della reddittività, esercita pressione sul Parlamento affinché allenti vincoli etici e legislativi. Che l’UDC non lo capisca rende evidente l’incoerenza di un partito che a parola difende la neutralità ma si trova totalmente succube delle élite militariste che guardano alla NATO.

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