Sem Genini, segretario agricolo cantonale
L’iniziativa per la responsabilità ambientale chiede che i nostri consumi individuali siano adeguati ai limiti planetari, lo stesso per le nostre attività economiche. Già presi singolarmente, ognuno di questi due obiettivi comporta conseguenze e interventi radicali nella nostra vita di tutti i giorni, uniti sono però semplicemente devastanti. Infatti non sono separabili: gli iniziativisti non accetterebbero che si produca in modo “insostenibile” per l’estero e “sostenibile” solo per il mercato nazionale.
Le imprese dovrebbero decidere se adeguarsi o andarsene dalla Svizzera. L’impatto sull’occupazione sarebbe evidente e facile da prevedere: l’abbandono del suolo elvetico di una parte preponderante delle imprese che se lo possono permettere. Non una semplice delocalizzazione però, siccome mantenere la sede fiscale o amministrativa in Svizzera significherebbe subire le nuove misure, ovvero che “le attività economiche possono consumare risorse ed emettere sostanze nocive soltanto nella misura in cui le basi naturali della vita siano conservate” (art. 94a, cpv. 1).
La partenza di grandi imprese risalterebbe sulle testate d’informazione per il danno d’immagine, fiscale e occupazionale, mentre alcuni festeggerebbero la partenza delle odiate multinazionali. Molto più devastante, ma assai più silenzioso, sarebbe invece l’impatto sulle nostre piccole e medie imprese, la vera spina dorsale occupazionale ed economica della Svizzera. La contrazione della domanda interna e i maggiori costi di produzione significheranno meno vendite e stipendi inferiori.
A guadagnare sarebbero le importazioni, esenti da questi requisiti (a meno di rinegoziare tutti gli accordi commerciali) e il turismo degli acquisti.Questa iniziativa offre però una possibilità da cogliere: rigettare con un chiaro e forte NO il 9 febbraio l’ideologia della decrescita e mandare un messaggio inequivocabile ai suoi proponenti politici e non.