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COREA DEL NORD

"Vi spiego perchè i coreani piangono il loro dittatore"

Stanno facendo il giro del mondo le immagini di dolore e di pianto dei coreani di fronte alla morte del loro leader Kim Jong-il. Claudio Bonvecchio professore di Filosofia delle scienze sociali presso l'Università dell'Insubria ci spiega i motivi di questi comportamenti
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"Vi spiego perchè i coreani piangono il loro dittatore"
Stanno facendo il giro del mondo le immagini di dolore e di pianto dei coreani di fronte alla morte del loro leader Kim Jong-il. Claudio Bonvecchio professore di Filosofia delle scienze sociali presso l'Università dell'Insubria ci spiega i motivi di questi comportamenti
PYONGYANG - "Non si ricorda le scene di disperazione, quando è morto Mao Tse-tung o Palmiro Togliatti?" Risponde così, il professore Ordinario di Filosofia delle scienze sociali presso l’Università degli S...

PYONGYANG - "Non si ricorda le scene di disperazione, quando è morto Mao Tse-tung o Palmiro Togliatti?" Risponde così, il professore Ordinario di Filosofia delle scienze sociali presso l’Università degli Studi dell’Insubria, Claudio Bonvecchio, alla nostra domanda sul perché delle manifestazioni di dolore così pronunciate, che si sono succedute, alla notizia della morte del leader nordcoreano Kim Jong-il.

Scene tragiche fatte di pianti e  mani sulla bocca, di corpi striscianti sul suolo dal dolore che spesso si ripetono quando a mancare è il leader carismatico di un paese orientale. Ma l’occidente non è immune da scene simili. I casi di Lady Diana o Giovanni Paolo II possono essere ricondotte sullo stesso piano, anche se la razionalità occidentale è riuscita a mediare la disperazione. Ma i casi di Hitler o Mussolini non sono lontani e tutto potrebbe ripetersi in momenti di crisi del sistema di riferimento, quando credere in qualcosa che possa salvare la nostra condizione diventa necessario. 

Professore Bonvecchio,  a cosa è dovuta una reazione simile?
"E’ tipico di quando muore un leader. Questi personaggi rivestono significati che si assommano a quelli di padri spirituali e quindi diventano persone che travalicano la semplice funzione politica. Ovviamente questa reazione è legata all’ideologia che i leader rappresentano, è sempre stato così, l’ideologia fa da quadro di riferimento. Politica o religiosa che sia, non cambia molto. Da noi possiamo chiamarla fede. Inoltre, queste persone però hanno un grande carisma. La figura carismatica diventa, in forma secolarizzata e laicizzata, quella che era la figura dell’imperatore, cioè il rappresentante del divino sulla terra. Quando un leader muore è come se per il popolo, si oscurasse il mondo, venisse meno una luce, un faro, un punto di riferimento. Di qui, la scene di commozione enfatiche".

Perché in Occidente tutto questo non accade?
"Da noi il dolore c’è, ma è contenuto, mediato. Pensiamo a Giovanni Paolo II, figura carismatica religiosa. In occidente, in quel caso, c’è stata una mediazione razionale. Pensiamo a Lady Diana per la quale si sono registrate scene del genere ma mediate, contenute. Nei paesi orientali invece ci sono persone che addirittura si feriscono, per partecipare al dolore. C’è una empatia eccessiva.  Ma esiste anche in occidente, che tuttavia più razionalistico, meno immediato, mediato dalla cultura, dalla ragione, dalle strutture democratiche che sono una camera di compensazione".

Quindi l’occidente non è immune da atteggiamenti simili, da parte del popolo?
"Da noi ci sono stati Mussolini, Hitler solo pochi anni fa.  Anche in Occidente in determinanti momenti di crisi dei grandi sistemi razionali di riferimento politico, possono riemergere, con la stessa forza che emerge in Oriente, queste suggestioni. Qualora ci fossero crisi molto rilevanti che fanno saltare il sistema razionale di riferimento, l’aspettazione del personaggio semidivino che viene a tirarti fuori dalle grane diventa elevatissima.  Il caso di Hitler è stato significativo. Ma del resto questo succede anche nella nostra vita individuale. Se viene meno un parente o una persona molto importante sul piano affettivo, il partner, in assenza di un sistema di riferimento razionale forte,  si cade nella disperazione più cupa e allora si regredisce, l’individuo non si lava, beve. Questo vale per gli individui come per i popoli". 

Che ruolo hanno gli strumenti di comunicazione?
"Gli strumenti di comunicazione amplificano quello che è già presente. Tuttavia nei paesi orientali non c’è un leader che suscita antipatie o simpatie come potrebbe essere un Berlusconi o un Cameron. Normalmente il leader è già un personaggio con dei lati carismatici e appare come tale. Quando era vivo Mao Tse-tung  per esempio, il libretto rosso, che era una silloge degli interventi del leader comunista,  veniva utilizzato per risolvere anche casi di grave malattia. Il medico non sapeva come fare e leggeva il libretto rosso. Gli strumenti di comunicazione  sono sempre strumenti e funzioni che rimandano a quell’antica immagine dell’imperatore del sovrano investito da Dio".

Ma i leader sono consapevoli di questo potere?
"I leader ne sono consapevoli e lo utilizzano molto bene. Tuttavia, questa consapevolezza è anche una sicurezza per il popolo. Quando alla fine della Seconda Guerra Mondiale in Giappone venne comunicato che l’imperatore non era più figlio del cielo, ci furono dei suicidi di massa. Perché la gente non  riusciva ad accettarlo, ad essere consapevole di questo cambiamento.  Ancora oggi i rituali imperiali sembrano catapultare la società nel medioevo e o nel periodo romano. E il Giappone è un paese razionale".

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