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MAFIA

Un boss «un po' mitizzato» e «senza eredi al suo livello»

L'ex magistrato Alfonso Sabella su Matteo Messina Denaro. Si è consegnato? «No, lo han tradito il tumore e la bravura degli investigatori»
keystone-sda.ch (CARABINIERI HANDOUT)
Fonte La Stampa
Un boss «un po' mitizzato» e «senza eredi al suo livello»
L'ex magistrato Alfonso Sabella su Matteo Messina Denaro. Si è consegnato? «No, lo han tradito il tumore e la bravura degli investigatori»
TRAPANI / PALERMO - In materia di segreti, anche Alfonso Sabella - magistrato, già sostituto procuratore del pool antimafia a Palermo e oggi giudice al tribunale di Napoli - ha le idee molto chiare. Con la morte di Matteo Messina Denaro «...

TRAPANI / PALERMO - In materia di segreti, anche Alfonso Sabella - magistrato, già sostituto procuratore del pool antimafia a Palermo e oggi giudice al tribunale di Napoli - ha le idee molto chiare. Con la morte di Matteo Messina Denaro «muore uno degli ultimi tre soggetti in grado di rivelare a questo Paese che cosa sia realmente accaduto dalla strage di Capaci a quelle continentali di Firenze, Milano e Roma».

Sabella, vale la pena ricordarlo, ben conosce la mafia corleonese. Le sue indagini hanno portato agli arresti di membri apicali della cosca fra i quali svettano sicuramente i nomi di Leoluca Bagarella (il cognato di Salvatore Riina) e di Giovanni Brusca. Arresti che gli valsero il titolo onorifico di "cacciatore di latitanti". E forte della sua esperienza, rifiuta nettamente l'ipotesi che il boss trapanese si sia consegnato, come invece suggerito da qualcuno. «Cazzate, non mi vergogno a dirlo. Nella storia di Cosa nostra mi sono capitati pochissimi che si siano fatti trovare», ha dichiarato in un'intervista al quotidiano italiano La Stampa. «Lo hanno tradito il tumore e la bravura degli investigatori».

«Capo dei capi? No, è stato un po' mitizzato. Ma...»
Matteo Messina Denaro, è già stato ribadito più volte, non era quello che viene indicato come il "capo dei capi". Titolo a suo tempo attribuito a Salvatore Riina, che lo strappò con la forza nella cosiddetta Seconda guerra di mafia. È morto da capomafia, ma non da «capo di Cosa nostra, da questo punto di vista mi permetta di dire che forse è stato un po’ mitizzato». Ma, aggiunge Sabella, «è stata una sua scelta non diventare il numero uno dei Corleonesi», quando «dopo l’arresto di Bagarella ha lasciato il testimone a Giovanni Brusca».

Il motivo? «Come capo dei capi sarebbe stato iper-esposto con tutte le conseguenze del caso» e ha quindi «ritenuto di mettersi in attesa, si è rintanato nel mandamento di Trapani, suo territorio di elezione dove si sentiva (ed era) realmente protetto, ha stretto un rapporto di non belligeranza con Bernardo Provenzano e allo stesso tempo un’opera di sommersione criminale». Una scelta che gli ha permesso di arricchirsi ma che «ha impedito ai suoi luogotenenti di crescere».

E gli eredi?
E si arriva quindi a oggi. E, soprattutto, al domani. Chi prenderà il posto di Messina Denaro? «Al momento credo che nessuno possa replicare il suo livello criminale. Qualcuno nominalmente occuperà il suo posto, ma non a lui paragonabile. E poi l’asse centrale dell’organizzazione non è da tempo riconducibile al gruppo Corleonese» ma, afferma Sabella, è «virato di nuovo a Palermo».

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