La banlieue parigina, il luogo da dove provengono i mostri. Un abitante: "Non abbiamo paura"
Nelle periferie degradate della capitale transalpina vivono persone di molteplici nazionalità tra povertà, disagi, disoccupazione e criminalità
PARIGI - Povertà, disagi, disoccupazione e criminalità. Oggi anche la guerra con i terroristi sotto casa. Ma in molti a Saint-Denis non vogliono arrendersi, per continuare a credere in quel sogno di una società multietnica e aperta. Nonostante tutto.
Con i suoi 110 mila abitanti e le sue decine di nazionalità rappresentate, "è questa la Francia del XXI secolo. Meticcia, multiculturale, tollerante. Siamo il laboratorio del futuro".
Così la descrive Robert, proprietario di una galleria d'arte che ha deciso di alzare la saracinesca anche nel giorno in cui i jihadisti "vogliono portarci la guerra". "Noi non abbiamo paura - insiste davanti ai militari appostati ad armi spiegate - dobbiamo continuare a vivere. Perché è questo che loro odiano di più".
Stretta tra i raccordi autostradali del Periphérique che la separa da Parigi, la Saint-Denis medievale è cresciuta attorno alla sua basilica, uno dei simboli della Francia e tomba dei suoi re, che condivide la piazza centrale con il Municipio, da sempre a guida "rossa".
All'ombra dello Stade de France, teatro di tre attacchi kamikaze del 13 novembre e campo da gioco degli imminenti Europei, il centro pedonale è circondato da palazzine fatiscenti di 3-5 piani e da immobili via via più degradati.
Non è, insomma, il paesaggio dei grattacieli senz'anima delle vicine Bobigny e La Courneuve, quelle cité del famigerato '93' (il dipartimento di Seine-Saint-Denis) reso noto da film come "L'Odio" in cui Mathieu Kassovitz, già negli anni '90, raccontava di come "un arabo in un commissariato dura meno di un'ora". Anche qui, però, l'integrazione è una battaglia quotidiana.
Concluso il blitz delle forze speciali, alcuni residenti si ritrovano nei pochi bar riaperti. Seduti ai tavolini del Longchamp, discutono dell'accaduto. "A Saint-Denis abbiamo diversi problemi, sono anni che lo diciamo. C'è sempre più povertà e insicurezza", dice Manuel Barbeito, pensionato spagnolo, da 20 anni in banlieue, che sorseggiando un bicchiere di vino denuncia una radicalizzazione strisciante. "Non ci sono più salumerie. Nelle scuole i figli degli arabi atei vengono insultati dai compagni. Si rischia pure a bere una birra per strada".
"Non è vero. Qui si vive benissimo", gli risponde Riccardo Doriano, artigiano originario di Mondragone (Caserta) con moglie e figli francesi. "È vero che i musulmani hanno comprato molti esercizi. Hanno soldi e offrono lavoro, così attirano molti giovani senza speranze. Ma io ho tantissimi amici maghrebini che ne prendono le distanze. Confrontarsi ogni giorno con diverse nazionalità è un fatto straordinario. A Saint-Denis mi sento a casa, a Parigi sono solo un italiano in Francia".
E la città del sogno multietnico non si arrende neanche stasera, nonostante lo shock delle scene di guerra: il celebre e vivacissimo teatro Gérard-Philipe resta aperto. E conferma in scena "Le intellettuali" di Molière.




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