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Una potenza (globale) chiamata Vaticano

Cosa può mettere in campo la diplomazia della Santa Sede per favorire la pace in Ucraina? E perché ospitare i negoziati sarebbe un colpo da maestro?
AFP
Una potenza (globale) chiamata Vaticano
Cosa può mettere in campo la diplomazia della Santa Sede per favorire la pace in Ucraina? E perché ospitare i negoziati sarebbe un colpo da maestro?

CITTÀ DEL VATICANO - Una diplomazia disarmata, proprio come quella pace che Papa Leone XIV ha incorniciato nelle sue prime parole, affacciandosi dalla Loggia di San Pietro la sera della sua elezione. Quella diplomazia, il Vaticano la sta mettendo in campo in queste ore, offrendosi come piattaforma per ospitare quei negoziati diretti che saranno il passaggio obbligato verso una "fumata bianca", quella tra Russia e Ucraina, che si attende da oltre tre anni.

In un contesto internazionale sfregiato dalle tensioni, in cui il tempo viene scandito da armi e sanzioni, la Santa Sede emerge come potenza globale disarmata e neutrale. Priva di interessi economici e quindi super partes rispetto agli attori direttamente coinvolti, a quelli che lo sono "indirettamente" (leggasi: gli Stati Uniti) e, infine, a chi osserva da lontano con grande interesse (su tutti, la Cina, che non intrattiene relazioni diplomatiche bilaterali con il Vaticano, che riconosce invece Taiwan).

In fondo, un "antipasto" dell'efficienza della piattaforma diplomatica del Vaticano sulla questione ucraina lo abbiamo avuto proprio il giorno dei funerali di Papa Francesco. Delle tante immagini di quel giorno, quella che più di ogni altra si è guadagna una scorciatoia per l'ingresso nella storia è quella dei presidenti di Ucraina e Stati Uniti, Volodymyr Zelensky e Donald Trump, che si intrattenevano in un fitto colloquio in San Pietro.

L'enclave vaticana è lo stato più piccolo al mondo, con il suo neanche mezzo chilometro quadrato di superficie. Non ha forze militari regolari - escludendo i 135 membri della storica Guardia svizzera pontificia - né tanto meno armi. E il suo è un arsenale fondato esclusivamente sul soft power. In estrema sintesi: i canali diplomatici (nel caso specifico della guerra in Ucraina, con entrambi i paesi belligeranti), il dialogo e quell'autorità morale che viene universalmente riconosciuta alla figura del Pontefice, che etimologicamente rimanda al costruire ponti. Ed è questo "curriculum" che anche oggi consente al Vaticano di dialogare con chiunque - a differenza di quanto possono fare altri stati, satelliti di una o dell'altra potenza - senza mai abbassare lo sguardo. Una potenza, disarmata, a tutti gli effetti.

Dovesse quindi la Santa Sede riuscire ad assicurarsi il ruolo di intermediazione sulla questione ucraina - e in tal senso, manca solamente la volontà del Cremlino, perché la disponibilità di Kiev e della Casa Bianca è de facto già sottoscritta -, avrebbe compiuto un colpo da maestro a tutti gli effetti. Oggi, in termini di pontificato, più di ieri. Perché vorrebbe dire che la Russia, e quindi Vladimir Putin, accetta di considerare come figura di garanzia neutrale un interlocutore che, non va dimenticato, ha anche il passaporto a stelle e strisce.

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