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ISRAELE«Sarà una guerra lunga e dura». Ma Israele ha tutto questo tempo?

07.11.23 - 09:00
Cresce la pressione per un cessate il fuoco. Netanyahu per ora non ci sente. L'ex premier Ehud Barak: «La finestra si sta chiudendo»
Reuters
«Sarà una guerra lunga e dura». Ma Israele ha tutto questo tempo?
Cresce la pressione per un cessate il fuoco. Netanyahu per ora non ci sente. L'ex premier Ehud Barak: «La finestra si sta chiudendo»

GERUSALEMME / GAZA - Sarà una guerra «lunga e difficile». Lo hanno affermato, e lo hanno fatto a più riprese, soprattutto in questi ultimi giorni - dopo aver circondato Gaza -, tanto il premier israeliano Benjamin Netanyahu quanto i suoi generali. Di certo in quelle parole si ritrova la consapevolezza di un'operazione militare piena di insidie, ma da un'angolazione diversa le stesse sembrano pure celare la volontà di non posare gli occhi sul proverbiale elefante nella stanza: il dopo.

Fatta questa premessa, va detto che anche il calendario non sembra stare dalla parte di Netanyahu. L'appello a un cessate il fuoco si sta facendo sempre più strada nella comunità internazionale, per il momento senza scalfire la linea dura di Bibi che nelle ultime ore ha respinto esplicitamente questo tipo di scenario con la stessa formula adottata nelle ultime 72 ore: se non vengono rilasciati gli ostaggi non ci sarà alcuna tregua. E ha aggiunto che lo Stato ebraico si farà carico della «responsabilità generale della sicurezza della Striscia» per un «periodo indefinito». Un quadro, quest'ultimo, di recente già respinto dall'ex premier Ehud Barak - «Anche se raggiungiamo l'obiettivo di rimuovere le infrastrutture di Hamas, e quindi la loro capacità di governare nella Striscia di Gaza, non vogliamo restare lì per i prossimi 10 o 20 anni, quindi chi raccoglierà la torcia da noi?», affermò a Foreign Policy - che è tornato a scandire l'incedere delle lancette in una nuova intervista, questa volta a Politico.

«La finestra si sta chiudendo. Ed è evidente che, con quest'offensiva, stiamo andando verso una frizione con gli americani. Gli Stati Uniti non possono dettare a Israele quello che deve fare. Ma noi non possiamo ignorarli», sottolinea l'ex generale, che traccia un orizzonte temporale molto vicino. Quanto? «Dovremo scendere a patti con le richieste americane entro due o tre settimane, forse anche meno». E questo anche in virtù del fatto che Washington spedisce quasi 4 miliardi di dollari in aiuti militari allo Stato ebraico ogni anno (nell'ambito di un pacchetto decennale complessivo di assistenza pari a 38 miliardi, siglato dall'allora presidente Barack Obama).

La crescente pressione, tanto su Israele quanto sugli Stati Uniti, si misura ormai in vite umane. Dal 7 ottobre scorso - esattamente un mese fa - giorno degli attacchi di Hamas che hanno ridestato il fuoco della guerra, nella Striscia sono rimaste uccise più di 10'000 persone. Gaza «sta diventando un cimitero di bambini», ha dichiarato il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, lanciando un altro appello per un immediato cessate il fuoco. L'ennesimo. A vuoto.

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