Il basilese Kurt Pelda critica i media occidentali: «Si sono ormai abituati al conflitto bellico. E' nostro dovere riferire di ciò che accade laggiù. Le notizie non arrivano da giornalisti sul campo»
BASILEA - Il sito web della rivista tedesca Stern.de ha osservato ieri un giorno di silenzio. La decisione è stata presa per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla guerra in Siria, che ogni giorno miete vittime nella quasi totale indifferenza dell'Occidente.
«Noi giornalisti non abbiamo il permesso di restare muti. Dovremmo descrivere. Riferire. Analizzare», si leggeva ieri sulla didascalia di una foto a tutta pagina dal titolo "Oggi restiamo in silenzio", raffigurante gli scheletri di palazzi distrutti dai bombardamenti.
«Falliamo ogni giorno nel comprendere il dolore che quotidianamente si vive in Siria», si leggeva nell'articolo.
La denuncia è chiara. I media occidentali non fanno nulla per descrivere un conflitto al quale, come ha dichiarato a Deutschlandfunk il reporter di guerra svizzero Kurt Pelda, «si sono ormai abituati, così come si è ormai abituata la società.»
Dalle agenzie internazionali occidentali giungono notizie sul campo spesso impossibili da verificare, come quelle riprese dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, agenzia fondata nel maggio del 2006 a Londra, nel Regno Unito, da un siriano di religione islamica sunnita, e schierata contro il governo Baath al potere.
Pelda parla di notizie riferite dai media occidentali che non giungono direttamente da giornalisti in Siria. "E' vero, è diventato molto difficile riferire sul campo, ma i media avrebbero il dovere di farlo. Si tratta della più grande catastrofe umanitaria degli ultimi decenni e meriterebbe più attenzione", ha spiegato ai microfoni di Deutschlandfunk.
Fare il reporter in Siria, è molto pericoloso. E' ovvio. Pelda ha spiegato che per potere lavorare nel Paese mediorientale ci vogliono un buona rete di contatti e soldi. Tanti soldi. Il reporter di guerra elvetico ha dichiarato che un giorno in Siria gli costa quasi 1.000 euro al giorno. Servono per pagare le guardie del corpo, le automobili per spostarsi e i traduttori. Una cifra che pochi giornalisti free lance si possono permettere.
Secondo il basilese 51enne, nei confronti del quale le autorità giudiziarie siriane hanno spiccato due mandati di cattura, «se gli editori pagano compensi da fame, non vale più la pena fare il corrispondente».
E quindi succede che sono quasi soltanto i giornalisti free lance, pochissimi, che osano intraprendere il viaggio in Siria. Ma, come detto, ci vogliono tanti soldi e una fitta rete di contatti.