Non metto in discussione il diritto di ogni cittadino svizzero di vivere dove preferisce. Ma qui non stiamo parlando di diritti individuali, stiamo parlando di conseguenze collettive.
Quando intere fasce di popolazione benestante, già pensionata e spesso con esigenze sanitarie più alte, si spostano in massa in una regione economicamente più fragile come il Ticino, gli equilibri sociali ed economici si alterano. Non è una questione di colpe personali, ma di dinamiche sistemiche.
Dire che il Ticino non può essere ridotto a una meta turistica o ospizio non è una cattiveria, è una constatazione. Perché se il territorio viene pensato e strutturato solo per accogliere anziani benestanti o turisti del Nord, che spazio resta per chi vuole costruire una vita qui, per lavorare, fare impresa, crescere una famiglia?
La responsabilità è certo anche dei politici e della gestione economica locale, ma se non mettiamo sul tavolo anche l'impatto dei flussi migratori interni svizzeri, continueremo a guardare solo una parte del problema.
Non è questione di puntare il dito, è questione di chiedersi: che tipo di Ticino vogliamo tra 20 anni? Uno vivo, abitato da giovani, lavoratori e famiglie, o uno trasformato in un’area di villeggiatura e pensionamento senza più vitalità locale?