Dramma in sala parto per la famiglia di Marco Di Gioia

Moglie e figlio in rianimazione, il popolare conduttore televisivo racconta la sua esperienza: "I medici hanno fatto un miracolo"
LUGANO - In tivù ha sempre sorriso, senza lasciare trasparire alcuna preoccupazione. Ma per Marco Di Gioia, popolare conduttore televisivo, quelle appena trascorse sono state settimane difficili, cariche di tensione. Il dramma, per Marco, è in sala parto, con la moglie e il figlio neonato a finire contemporaneamente in rianimazione. Crisi eclamptica, dicono gli esperti. Una grave patologia della gravidanza, caratterizzata da forti convulsioni. "Una situazione orribile - sospira Marco - ringraziando il cielo i medici hanno fatto il miracolo. Oggi mia moglie e mio figlio sono salvi".
Una tranquilla domenica - È domenica 3 febbraio, mezzogiorno circa. Marco è andato a trovare i suoi genitori, nei pressi di Varese. Con sua moglie Agnese è sdraiato sul divano. Lui attende che inizi la partita della Juventus, lei riposa. Improvvisamente accade l'impensabile. Agnese inizia a tremare. Ha le convulsioni. Fortissime. "Non sapevo cosa fare - racconta il presentatore televisivo -. Ero disperato. In quegli istanti così confusi ho chiesto a mia moglie di non morire, di salvare il nostro bimbo di 8 mesi che portava in grembo". Marco chiama i soccorsi. L'ambulanza suona e corre verso l'ospedale Del Ponte di Varese, la struttura più vicina a essere attrezzata per questo genere di situazioni estreme. "Ogni minuto - ammette Marco - sembrava un'eternità".
Corsa contro il tempo - Alla una e dieci Agnese, dopo due crisi convulsive, entra in sala operatoria. In quel preciso momento la donna è in coma profondo. "Io stavo nei corridoi come uno spaventapasseri - spiega Marco -. Immobile, senza parlare. Non sapevo nulla di cosa stesse accadendo. Quattordici minuti dopo, alle 13.24, nasceva mio figlio Niccolò, dopo un taglio cesareo. Il bimbo, vista la situazione di mia moglie, aveva bisogno di una macchina per respirare".
Il lieto fine - Il resto è un brutto sogno a lieto fine. Ci vorranno ore, ma i medici riescono a rianimare Agnese e mettere fuori pericolo il bambino. "Anche se quanto accaduto è completamente destabilizzante, ora stanno entrambi bene - ripete Marco -, ". Poi il conduttore televisivo spezza una lancia per i dottori. "Per chi ha salvato la mia famiglia e ha curato la mia vita - puntualizza con emozione -. Spesso si sente parlare male della sanità, soprattutto di quella italiana. Troppe volte ho sentito lamentele su questo o su quell'altro dettaglio... Cose superflue che invito tutti a lasciar da parte. Io al Del Ponte ho trovato grande umanità e disponibilità. Perché racconto queste cose oggi? Perché molta gente, sapendo che a marzo sarei diventato padre, mi chiede affettuosamente come va… E allora è giusto che sappiano…”
L’appello dell’Associazione Alessia – Dell’episodio che ha coinvolto la famiglia del conduttore televisivo è venuta a conoscenza anche l’Associazione Alessia, che da quasi 10 anni si occupa di sostenere le famiglie confrontate con problemi di natura pediatrica nella Svizzera italiana. E la presidente Bernadette Waller lancia un appello chiaro alle autorità: “In Ticino serve al più presto un Centro cantonale pediatrico di cure intensive e per le gravidanze a rischio. Per i ticinesi in casi del genere è impossibile rivolgersi agli ospedali della regione. Perché da noi, appunto, non ci sono le infrastrutture per fare fronte a queste situazioni di emergenza. Di solito tutti coloro che sono confrontati con simili drammi devono rivolgersi agli ospedali della Svizzera interna. Si ricorre a ricoveri d’emergenza, con la Rega, con l’ambulanza. Per fortuna che Di Gioia si trovava nei pressi di Varese in questo caso specifico”.
Questione politica - La questione sembra essere soprattutto politica. E Waller lo conferma senza usare mezzi termini. “Da anni i politici ne stanno discutendo. Ma non se ne arriva a una. Le autorità dovrebbero capire che la situazione non è più sostenibile e non si può continuare così. Le famiglie colpite da problemi del genere sono diverse. Purtroppo non esiste ancora una statistica vera e propria, noi comunque ci occupiamo di una cinquantina di famiglie all’anno”.




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