«Picchiato e umiliato, sono scappato»

Il 24enne che viveva in Verzasca è in fuga dalla Croazia. Ha abbandonato il centro per migranti in cui era stato costretto a ritornare.
ZAGABRIA/ CANTONE - «Questa volta è stata ancora peggiore della prima. Nel giro di cinque giorni, sono stato picchiato due volte dalla polizia croata senza alcuna ragione. Le violenze, gli insulti e le umiliazioni continue mi hanno costretto a scappare di nuovo». Alisina, il 24enne afgano che abitava in Verzasca e che di recente era stato rispedito in Croazia (primo Paese europeo in cui si era registrato), negli scorsi giorni è scappato da Zagabria. Ha lasciato in fretta e furia quel centro per migranti in cui, in virtù dell’accordo di Dublino, l’avevano costretto a tornare.
Incertezza totale – Non sappiamo esattamente dove si trovi ora il 24enne. Ma al telefono ci confessa di essere disperato. «Ho molta paura: della polizia, delle leggi ingiuste che calpestano i diritti umani, dei trasferimenti notturni operati dalle forze dell’ordine. Non so cosa fare. Vivo nell’incertezza più totale. Le condizioni nei campi profughi croati, in particolare nel campo di “Porin”, sono disumane. Siamo stati sistemati in stanze sporche, senza elettricità, con bagni senza scarico e senza accesso all'acqua potabile».
Via dall'Afghanistan – Il 24enne ricorda la sua drammatica Odissea. «Il 12 marzo 2022 sono fuggito dall’Afghanistan, Paese in cui la discriminazione etnica e le gravi ingiustizie rendono impossibile la vita. Dopo un viaggio di sette giorni, sono arrivato in Iran: lì ho lavorato per otto mesi in condizioni dure in una fabbrica di Mahmoudabad. Temendo il rimpatrio forzato da parte della polizia iraniana, sono stato costretto a partire di nuovo, utilizzando denaro preso in prestito e vendendo i pochi beni che mi erano rimasti».
Perché è finito in Croazia la prima volta? – È un racconto commovente quello di Alisina. Ed è difficile restare indifferenti mentre rievoca quanto ha vissuto. «Il mio viaggio dall’Iran alla Svizzera è durato 67 giorni, passando per condizioni estreme, in particolare in Turchia e in Grecia. Avevo tanta speranza. Questa speranza si è infranta il 5 febbraio 2023, quando sono stato arrestato dalla polizia croata mentre ero su un treno. Insieme a sei altri giovani afghani, siamo stati fatti scendere e siamo stati trattati con insulti, umiliazioni e violenze verbali. Siamo stati detenuti per due notti in una stanza buia senza cibo, acqua e accesso ai servizi igienici».
Impronte digitali – Il 7 febbraio 2023 Alisina e i suoi compagni di sventura vengono trasferiti con un veicolo chiuso in un altro luogo. «Dove ci hanno preso le impronte digitali con la forza. Tre agenti mi trattenevano il petto e le braccia mentre altri due mi premevano le dita per ottenere le impronte. Dopo di che, mi hanno consegnato alcuni documenti in lingua croata, dicendomi semplicemente: “Firma, o ti deportiamo in Bosnia.” Spaventato e impotente, ho firmato quei documenti senza comprenderne il contenuto. Subito dopo essere stato rilasciato dalla polizia croata, senza indugio ho proseguito il mio viaggio e il 10 febbraio 2023 sono arrivato in Svizzera, sperando di trovare finalmente protezione in un Paese conosciuto per la sua democrazia e per il rispetto dei diritti umani».
Un presente complicatissimo – Ma il sogno di Alisina si scontra con l’accordo di Dublino: secondo la legge il migrante dovrebbe stare nel primo Stato europeo in cui ha lasciato le impronte digitali. Ecco perché, dopo che la sua domanda d'asilo in Svizzera era stata respinta, un mese fa le autorità elvetiche lo hanno “prelevato” in Verzasca, lo hanno tenuto alcuni giorni di carcere amministrativo per poi infine rimandarlo in Croazia, Paese ospitale e amichevole ma il cui sistema d’asilo è stato più volte messo in discussione dalle associazioni internazionali per la sua durezza. Alisina, che ha avuto problemi anche coi coinquilini del centro, non se la sentiva più di stare lì. «La privazione del diritto alla salute, all’istruzione, alla sicurezza e alla privacy rappresenta un’evidente violazione dei diritti fondamentali dell'essere umano. Racconto questa storia affinché la voce di chi soffre in silenzio nei campi profughi e ai confini d’Europa possa essere ascoltata».