«Geo sembrava arrivato da un altro mondo»
«Dal primo incontro sono passati oltre 40 anni, ma lo ricordo come fosse ieri».
LUGANO - Si è formato all’Herisau, ha giocato a Davos e chiuso la carriera tra Kloten e Zugo. Se si parla di Jörg Eberle, però, la mente va subito al Lugano. A quella maglia bianconera che ha indossato per un totale di dodici stagioni. Una vita.
Quella di un ragazzo fattosi uomo guardando, seguendo e anche prendendo come esempio chi per primo l’ha trattato da grande: Geo Mantegazza.
Insieme a Kent Johansson, Eberle era tra i giocatori preferiti dell’allora presidente del club ticinese, uno dei simboli della squadra capace di rivoluzionare l’hockey svizzero.
«Geo era e sarà per sempre il mio presidente - ha raccontato un commosso Eberle - ma non può essere altrimenti. Era una grande persona, per me un punto di riferimento solidissimo. Ed è stato così fin dal primo incontro. A Herisau. Avevo 19 anni».
Giovane promessa dell’hockey…
«Si presentò in quella che era la casa dei miei genitori per parlare con me, ragazzino, appena promosso in Serie B. Da quei momenti sono passati oltre 40 anni ma li ricordo come fosse ieri. Per quel contesto, Geo sembrava arrivato da un altro mondo. Un marziano. Elegante, dotato di grande umanità… ho da subito avuto l’impressione, poi confermata, di avere a che fare con una persona correttissima. Avevo contatti con altri club, ma dopo quella chiacchierata avevo già ben chiaro in testa dove sarei andato. Che strada avrei preso».
Il Lugano ha segnato la tua vita.
«La prima impressione avuta è stata sicuramente quella giusta. Mi sono sempre fidato ciecamente di Geo, che per me a Lugano rappresentava tutto. E quella fiducia non è mai stata tradita: tutto quello che diceva, neanche prometteva, poi lo faceva. Era sincero e generoso. Ora si parla tanto di contratti; con lui è sempre bastata la semplice stretta di mano».