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ISMAEL CAMOZZI

(D)istruzione: quando la scuola si piega alle pressioni sioniste

Ismael Camozzi, coordinatore del SISA
ISMAEL CAMOZZI
(D)istruzione: quando la scuola si piega alle pressioni sioniste
Ismael Camozzi, coordinatore del SISA

Con l’avvicinarsi della “Giornata per la Palestina”, promossa per il 17 novembre dal Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA), stanno emergendo episodi di grave preoccupazione nei licei cantonali. Nelle trattative fra comitati studenteschi e direzioni scolastiche si moltiplicano le segnalazioni di atti di censura e tentativi di sabotaggio ai danni delle attività proposte dagli studenti e delle finalità stesse dell’iniziativa. La giornata, annunciata già un mese fa in conferenza stampa, prevede due momenti distinti: una mattinata di formazione e autogestione nelle scuole aderenti e, nel pomeriggio, una mobilitazione pubblica contro il genocidio del popolo palestinese.

Per la mattinata, studenti e studentesse dei sei licei cantonali, delle SSPSS, del CSIA e della Scuola cantonale di commercio di Bellinzona hanno elaborato decine di proposte, coinvolgendo giornalisti, docenti, storici, operatori umanitari e testimoni diretti. Tuttavia, nella fase di approvazione, diverse direzioni hanno esercitato una forma di controllo selettivo e talvolta arbitrario, dando luogo a censure ingiustificate che minano il senso stesso della giornata e il principio di autogestione.

Al Liceo di Bellinzona, sulle 16 proposte presentate, solo 7 sono state accettate dalla direzione. Una scrematura che pone ora il comitato studentesco responsabile in serie difficoltà dal punto di vista organizzativo. Ma i veri interrogativi ruotano attorno alle 9 attività censurate! Fra queste troviamo, ad esempio, quella dell’associazione umanitaria “Future in Peace”, che da mesi promuove progetti a sostegno della popolazione di Gaza, come la consegna di acqua, cibo e vestiti. L’attività prevedeva la presentazione di tali progetti agli allievi, i quali avrebbero potuto porre le loro domande rispetto al funzionamento della difficile consegna di aiuti umanitari nel tragico contesto palestinese.

Per giustificare tale scelta, la direzione ha spiegato, pretestuosamente, che un’associazione del genere sarebbe stata “imparziale” da un punto di vista politico. Fare un vero e proprio processo alle intenzioni politiche verso un’ONG umanitaria che, nel suo stesso sito, si definisce come un’associazione “laica e apartitica” costituisce un atto di censura ingiustificabile e comporta un grave impoverimento dei contenuti didattici della giornata complessiva. Si tratta di un processo alle intenzioni: colpire un’organizzazione laica e apartitica, riconosciuta dal DECS stesso come interlocutore credibile e partner di progetti di gemellaggio (che si svolgono, ad esempio, nelle scuole medie di Viganello), significa negare alla scuola la possibilità di un confronto autentico e informato su una tragedia contemporanea.

Una simile esclusione non è neutra: rivela la paura politica di affrontare la realtà del conflitto e il suo portato umano. Alimentare il timore di essere tacciati di antisemitismo come pretesto per silenziare la solidarietà verso le vittime civili palestinesi contribuisce alla strumentalizzazione politica del discorso pubblico. È compito della scuola, invece, contrastare queste derive, facendo della conoscenza un esercizio di libertà e non di obbedienza. Dunque, la scellerata scelta della direzione ha un sottotesto ben chiaro: chi ha conosciuto il genocidio del popolo palestinese e ha provato a fermarlo non potrà portare le proprie testimonianze agli studenti e alle studentesse in una giornata dedicata ad esso perché “inadeguata”; e cosa sarebbe adeguato, allora?

Non meno gravi sono i casi di censura verso relatori qualificati: sociologi, antropologi, studiosi di scienze politiche e studenti universitari, invitati dagli stessi liceali o da docenti. Le direzioni, temendo il carattere “politicamente esposto” di alcuni di loro, hanno escluso le attività per preservare un presunto “equilibrio interno”. Tuttavia, seguendo tale logica lacunosa, il dipartimento sarebbe costretto a silenziare tutte le voci critiche verso la narrativa dominante. Una decisione che tradisce, di fatto, un malinteso concetto di neutralità: ignorare titoli accademici e competenze professionali per motivi ideologici significa minare il principio stesso di formazione critica. La scuola non è un campo neutro, ma uno spazio in cui la verità si ricerca nel confronto. L’equilibrio non si costruisce attraverso la cancellazione delle voci, bensì nella loro presenza dialogica. Basterebbe, in caso di dubbi, affiancare ai relatori un docente: eppure anche le attività sotto supervisione sono state censurate, perfino quelle in cui gli studenti intendevano proporre analisi di opere cinematografiche o testimonianze culturali. Con tali scelte, le direzioni non solo hanno negato fiducia agli studenti, ma hanno anche screditato il ruolo dei docenti e ignorato la volontà del Collegio dei professori, che si era espresso a maggioranza in favore della giornata autogestita. È una ferita profonda per una scuola, come il Liceo di Bellinzona, che vanta una lunga tradizione di autogestione e partecipazione e che ora, purtroppo, va decadendo in un’eterogestione solipsistica e dissociata dalle volontà del corpo studentesco e docente.

A destare preoccupazione c’è inoltre la situazione al Liceo di Mendrisio, dove la direzione, ignorando il principio di autogestione delle studentesse e degli studenti nell’organizzazione delle attività, ha temporeggiato sulle proposte, utilizzando in maniera beffarda la settimana di vacanza, scavalcando il corpo studentesco e decidendo autonomamente nuovi relatori. Ciò è stato fatto nel tentativo di deviare l’attenzione della giornata verso un’idea di pacifismo debole, idealista e astratto, allontanando così il focus dal genocidio del popolo palestinese. Il pluralismo è un valore irrinunciabile, ma non può essere invocato, fuorviantemente, per annacquare la realtà storica. L’autogestione non è un privilegio, bensì un diritto riconosciuto, attraverso cui gli studenti imparano la responsabilità civile e il discernimento etico.

Le testimonianze raccolte in più sedi rivelano un problema sistemico nel rapporto tra direzioni scolastiche e corpi studenteschi. Gli episodi di derisione, chiusura o aggressività verbale nei confronti di chi si è esposto pubblicamente sono segnali di un clima autoritario, in cui la paura del conflitto di idee prevale sul dovere educativo del confronto. Anche al CSIA di Lugano gli studenti hanno dovuto ricorrere a una petizione per ottenere un incontro con la direzione: un gesto che mostra quanto la partecipazione democratica sia oggi ostacolata all’interno delle stesse istituzioni che dovrebbero promuoverla.

Tutto questo rappresenta, in ultima analisi, un tentativo di sabotaggio dell’intera iniziativa e, con essa, della libertà stessa di pensiero nelle scuole cantonali. Un sabotaggio che contraddice la posizione del Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport (DECS) e della sua direttrice, Marina Carobbio, la quale, durante una riunione con il SISA, aveva riconosciuto l’importanza della giornata e lodato l’impegno degli studenti. Alcuni direttori sembrano aver dimenticato che la loro funzione è amministrativa e pedagogica, non politica. Gestire una scuola come se fosse un feudo personale o – ancora peggio – un’emanazione di partito è un tradimento dello spirito pubblico dell’istruzione.

Nel timore di essere strumentalizzate dal mondo politico, le nostre scuole rischiano di diventare strumenti di autocensura, negando voce a chi conosce la realtà della Palestina. Le giustificazioni, già menzionate, delle direzioni non sono degne di rispetto, poiché prive di senso storico: mantenere questi presunti equilibri significherebbe anche che, durante la Giornata della Memoria, l’istituzione scolastica dovrebbe preoccuparsi di non urtare la sensibilità di qualche area politica che crede che i nazisti avessero ragione? Non sembra necessaria alcuna risposta.

Pertanto, la scuola ha il dovere storico e intellettuale di calarsi criticamente sul genocidio – definito tale pure dall’ONU – perpetrato dai criminali sionisti sul popolo palestinese. Così facendo, si svilisce l’articolo 2 della legge scolastica, che prescrive che “la scuola promuove lo sviluppo armonico di persone in grado di assumere ruoli attivi e responsabili nella società e di realizzare le istanze di giustizia e libertà”. Ma come può tutto ciò avverarsi se la scuola si piega alle pressioni sioniste all’interno del DECS e delle direzioni? Così facendo, che esempio stanno dando le direzioni alle giovani generazioni? Noi vogliamo una scuola coraggiosa, capace di affrontare la realtà del mondo, non di voltarsi dall’altra parte. Una scuola che non confonda la neutralità con l’apatia e che sappia distinguere il rispetto dalla paura. La libertà d’insegnamento non è l’assenza di giudizio, ma la possibilità di interrogare la verità.

Come ricordava il tanto compianto Stefano Franscini: “Ove non v’è istruzione, non v’è libertà”. Oggi possiamo aggiungere: ove non v’è libertà d’espressione, vi è il sindacato. Il SISA non resterà in silenzio di fronte a queste gravi testimonianze. Chiederà chiarimenti alle direzioni coinvolte, in collaborazione con il DECS e la VPOD. Per questo invitiamo studentesse e studenti a resistere, nonostante le pressioni, e a manifestare la propria indignazione nella mobilitazione del 17 novembre, con ritrovo alle ore 15:00 presso la stazione di Bellinzona. Affinché il genocidio del popolo palestinese non cada nell’oblio a causa di un accordo di pace imposto che – in realtà – andrebbe definito ricatto coloniale. In quella giornata ribadiremo le nostre rivendicazioni, già espresse nella Lettera aperta per la fine della complicità svizzera nel genocidio del popolo palestinese: che il nostro Paese intervenga con decisione contro il clima di intimidazione che si respira negli istituti scolastici e universitari e che restituisca alla scuola il suo compito originario — formare cittadini liberi, non sudditi obbedienti.

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