Trump prepara l'affondo sul Venezuela

Gli attacchi contro le navi che trasportano droga proseugono. Gli Stati Uniti hanno schierato migliaia di uomini nell'area. E già si ragiona sui piani per il dopo Maduro
WASHINGTON / CARACAS - Donald Trump è pronto all'affondo in Venezuela. Dopo aver schierato un'imponente forza militare di 15'000 uomini nell'area, la maggiore concentrazione dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962, l'amministrazione sta valutando i piani per il dopo Nicolas Maduro, che vanno dall'esilio del leader alla rimozione delle sanzioni.
La Casa Bianca non ha svelato pubblicamente le sue carte, e tanto meno lo ha fatto Trump. Il presidente ha dichiarato di aver "in un certo senso deciso" le prossime mosse nei confronti di Caracas dopo giorni di incontri con i vertici del Pentagono che gli hanno presentato le opzioni a sua disposizione. Su come intende procedere il commander-in-chief però non si è sbilanciato, anche se appare chiaro che sia intenzionato quantomeno a mantenere alta la pressione sul leader venezuelano.
Gli attacchi alle navi per il trasporto della droga nel Mar dei Caraibi infatti continuano incessanti e gli Stati Uniti hanno radunato nell'area migliaia di truppe oltre alla US Gerald Ford, la maggiore portaerei al mondo ritenuta la "piattaforma da combattimento più letale" della Marina statunitense, un'altra decina di navi da combattimento e 10 caccia avanzati F-35 a Porto Rico. Se l'ordine di attaccare dovesse arrivare tutto sembra quindi pronto. Ma, secondo gli osservatori, per l'amministrazione si tratta di una scelta difficile: attaccare il Venezuela vorrebbe dire tradire la promessa elettorale di Trump di non avviare nuovi conflitti, e strappare con il Congresso al quale ha assicurato in più di un'occasione che l'obeittivo non è rimuovere Maduro ma combattere il traffico di droga.
Trump continua a sperare che il pressing in atto spinga Maduro a lasciare, complice anche una rivolta interna alla quale ha fatto appello la leader dell'opposizione e premio Nobel della Pace. Maria Corina Machado ha infatti invitato alla 'disobbedienza militare': "Deponete le armi, non attaccate il vostro popolo, prendete la decisione di schierarvi dalla parte della libertà del Venezuela quando arriverà il momento", è stato il suo appello.
Per ora comunque Maduro resiste fra inviti alla pace e la richiesta di mobilitazione permanente in sei regioni del Venezuela. Nel corso di un comizio si è lasciato andare e ha intonato le parole di 'Imagine' chiedendo a tutti i suoi sostenitori di "fare tutto per la pace, come ha detto John Lennon". Agli sviluppi sul terreno la Casa Bianca guarda con attenzione, preparandosi al 'day after'. Le ipotesi americane allo studio sono varie e fra queste c'è la possibilità di offrire a Maduro e ai suoi stretti collaboratori un passaggio sicuro verso un altro Paese per il loro l'esilio. Un'altra alternativa è quella di arrestarlo e processarlo negli Stati Uniti.
Senza Maduro in carica, gli Stati Uniti potrebbero poi rimuovere alcune sanzioni e premere per un ruolo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale nella ricostruzione dell'economia del paese, che vanta le maggiori riserve petrolifere al mondo. Per garantire un'iniziale sicurezza alla nuova leadership potrebbero poi essere coinvolte società di sicurezza privata non americane. Il capitolo petrolio è un tema caldo, al quale Trump guarda con attenzione.
I piani sono ancora in via di definizione e, secondo gli esperti, non prendono in considerazione importanti variabili. La prima è la possibilità che Maduro venga sostituito da qualcuno ancora più anti americano. La seconda è la mancanza di un confronto con l'opposizione venezuelana che ha una sua visione per il dopo Maduro, e non è detto che coincida con quella americana. La terza e ultima è il rischio in qualsiasi scenario di attacco o meno di inimicarsi i leader del sud America, ad eccezione del fedelissimo Javier Milei, creando un'altra crisi globale.
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