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«Dosi massicce di psicofarmaci e regole da carcere: ecco perché sono scappato»

Elia Del Grande, il cinquantenne che nel 1998 uccise la madre, il padre e il fratello, in una lettera spiega i motivi che l'hanno indotto a fuggire dalla casa lavoro dove si trovava.
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Fonte Varese News
«Dosi massicce di psicofarmaci e regole da carcere: ecco perché sono scappato»
Elia Del Grande, il cinquantenne che nel 1998 uccise la madre, il padre e il fratello, in una lettera spiega i motivi che l'hanno indotto a fuggire dalla casa lavoro dove si trovava.

VARESE - Ha mandato una lettera al quotidiano VareseNews per raccontare la sua verità. Lui è Elia Del Grande, venuto alle cronache nel 1998 per avere sterminato la sua famiglia uccidendo entrambi i genitori e il fratello.

Dal luogo della sua "latitanza" - dopo essere fuggito da una "Casa di reclusione a custodia attenuata" di Castelfranco Emilia alcuni giorni fa - spiega al quotidiano varesino i motivi della sua fuga. E parla di «allontanamento», spiegando che non si tratta di «un'evasione e che non vi è una realtà penale perseguibile».

Se ne è andato dalla struttura dove era stato destinato (perché su di lui pende il giudizio degli enti preposti di essere ritenuto ancora "socialmente pericoloso") per diversi motivi. Motivi che sottolinea nella sua missiva.

«Le case lavoro, che dovrebbero tendere a ri-socializzare e reinserire con il lavoro, sono in realtà i vecchi ospedali psichiatrici» afferma, dove «mi sono trovato ad avere a che fare ogni giorno con gente con serie patologie psichiatriche, la terapia chiaramente psicofarmaco, viene data in dosi massicce a chiunque senza problemi».

L'attività lavorativa - scrive l'uomo che viene ricercato da polizia e carabinieri di tutta Italia - «è identica a quella dei regimi carcerari. Le case di lavoro - prosegue - oggi sono delle carceri effettive in piena regola con sbarre cancelli e polizia penitenziaria, orari cadenziati, regole e doveri. Con la piccola differenza che chi è sottoposto alla casa di lavoro non è un detenuto, bensì un internato, ovvero né detenuto né libero».

Nella lettera, Del Grande rimarca il fatto che «avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un ottimo lavoro, dando tutto me stesso in quel lavoro che oggi mi hanno fatto perdere senza il minimo scrupolo, mi riferisco alla Magistratura di sorveglianza. Avevo ritrovato una compagna - fa sapere - un equilibrio, i pranzi, le cene, il pagare le bollette, le regole della società. Tutto questo svanito nel nulla per la decisione di un magistrato di Sorveglianza che mi ha nuovamente rinchiuso facendomi fare almeno mille passi indietro, riproponendomi soltanto la realtà repressiva carceraria».

Ritiene di avere pagato il suo conto con la giustizia perché «io da questo Paese sono stato condannato ad anni 30 di reclusione, effettivamente ne ho scontati 26 e 4 mesi e non sono stato condannato a galera in più». Si lamenta del fatto che «mi definiscono come il serial killer, il pazzo assassino che è sfuggito senza la minima remora e controllo, additandomi di tutte le cose del passato senza informarsi prima su cosa ho fatto da quando sono stato scarcerato il 16 luglio 2023. Pago lo scotto del mio nome e di ciò che ho commesso» vuole fare notare.


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