Cerca e trova immobili
VATICANO

Il cammino di pace passa dal Vaticano

Nel giorno dell'insediamento ufficiale di Leone XIV, faccia a faccia tra il Pontefice e il leader ucraino Zelensky, il quale domani incontrerà Vance
Foto AFP
Il cammino di pace passa dal Vaticano
Nel giorno dell'insediamento ufficiale di Leone XIV, faccia a faccia tra il Pontefice e il leader ucraino Zelensky, il quale domani incontrerà Vance

VATICANO - Se non in Vaticano, dove? Per parlare di pace non poteva esserci occasione più propizia che la cerimonia di insediamento di Leone XIV; e le stanze della Santa Sede non potevano che essere il luogo ideale per affrontare il tema.

Il pensiero del nuovo Pontefice, anche in materia di politica internazionale, è stato chiaro fin da subito: la condanna dei conflitti che stanno insanguinando alcune regioni del mondo. Più di altri, i teatri di guerra in Ucraina e nella Striscia di Gaza, verso i quali il nuovo Papa non coglie occasione di ribadire di «essere a disposizione» facendo tutto il possibile per far «dialogare e guardare negli occhi» le nazioni coinvolte, operando anche tutti gli sforzi in seno alla diplomazia vaticana per esercitare pressioni sui principali attori impegnati ai tavoli dei negoziati, come gli Stati Uniti.

Così, al termine del rito di "intronizzazione", Prevost ha concesso prima udienza al leader ucraino Volodymyr Zelensky, che si è detto fiducioso che «l'autorità e la voce della Santa Sede possono svolgere un ruolo importante nel porre fine a questa guerra, per la disponibilità a diventare una piattaforma per i colloqui diretti tra Ucraina e Russia», e dopo al Vicepresidente americano J. D. Vance: con quest'ultimo, durante un colloquio durato una mezz'oretta circa, si è anche fatto riferimento alla prevista telefonata di domani fra Trump e Putin.

Un incontro la cui portata è di un certo rilievo, se non altro perché segna anche un riposizionamento dell'amministrazione americana verso l'attuale reggente della Santa Sede dopo la per niente malcelata diffidenza mostrata nei confronti delle sue opinioni su temi "sensibili" - come quello dell'immigrazione - tanto cari al presidente Trump.

E, del resto, le stesse parole del Segretario di Stato americano Rubio - che ha fatto riferimento alla «centralità della Chiesa» e alla «Santa Sede come luogo ideale per parlarsi e dove le entrambe le parti (ndr. Russia e Ucraina) sarebbero a loro agio» - fanno intendere che dalle parti della Casa Bianca il vento è cambiato o comunque non sta spirando più nella solita direzione.

È altresì prevedibile che il Papa americano farà sentire la sua voce verso lo stesso Trump, i cui proclami di portatore di pace per ora non sono arrivati a granché: i deboli segnali di tregua dialettica (anche se non totalmente pacificatori) arrivati dal tavolo di Istanbul (in vista della speranzosa telefonata al Cremlino annunciata per lunedì) non sembrano far mietere troppe illusioni quanto alla fine del conflitto in Ucraina; parimenti, l'orrore quotidiano delle centinaia di vittime civili di Gaza sbriciolate sotto le bombe israeliane dell'amico Netanyahu, non aiutano certo a rafforzare l'ambizione di essere ricordato come colui che sarà stato capace di fermare la guerra anche in Medio Oriente.

Così, a rinsavire le buone pratiche umane di concordia fra i popoli spetterà - forte del ruolo e il peso istituzionale ricoperti nel mondo - alla Chiesa: più che ai tentennamenti diplomatici dei governi e alle avventurose crociate di dichiarazioni di belle speranze in solitaria, a essa sembra essere affidato il ritorno della pace in quei Paesi martoriati dalla guerra, con le popolazioni «ridotte alla fame», come ha detto Prevost riferendosi alla gente di Palestina.

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
Naviga su tio.ch senza pubblicità Prova TioABO per 7 giorni.
NOTIZIE PIÙ LETTE