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AURIGENO/ LUGANO

La follia e la frase choc alla moglie: «Ora piangi tu»

La "verità" dell'autore del delitto dei Ronchini. Il 44enne alla sbarra: «Non sono un killer. E non ho sparato al custode in presenza di suo figlio».
FVR/ M. Franjo
La follia e la frase choc alla moglie: «Ora piangi tu»
La "verità" dell'autore del delitto dei Ronchini. Il 44enne alla sbarra: «Non sono un killer. E non ho sparato al custode in presenza di suo figlio».

AURIGENO/ LUGANO - Ha parcheggiato la macchina. E ha raggiunto il piazzale dell'abitazione del custode, situata nella scuola. Stando agli atti, lo ha fatto prendendo una stradina discosta. Per non essere visto. Istantanee del primo pomeriggio di giovedì 11 maggio 2023. Tornano a galla al processo per il delitto ai Ronchini di Aurigeno, in corso a Lugano. «Da quando è arrivato sul posto a quando ha sparato il primo dei tre colpi, lei ha aspettato un'ora e venti minuti», rammenta il giudice Amos Pagnamenta.

«Nulla davanti al figlio» – Lo sparatore, alla sbarra con l'accusa principale di assassinio, a un certo punto vede il custode, suo "rivale" in amore. È con uno dei tre figli che frequentava l'istituto scolastico. «Quando si sono separati, ho tirato fuori la pistola. Non ho fatto nulla davanti al figlio». A quel punto il custode scappa. Secondo il giudice perché già aveva visto che il 44enne aveva un'arma. L'imputato, tuttavia, nega. Continuando a ripetere che voleva solo parlargli o fargli paura. «La mia intenzione era di fargli male. Non di ucciderlo».

Amnesie – Il giudice torna su un elemento importante. «Come mai nemmeno vedendo il figlio della vittima, e sapendo che aveva già perso la mamma, lei non si è fermato?» La replica del 44enne è sempre la stessa: «Guardi, ero arrabbiato». L'uomo sparerà tre colpi di pistola. Il primo dall'esterno della scuola. Perlomeno il terzo già dall'interno. Lo sparatore non conferma e non smentisce. Balbetta. Indugia. È evasivo. «Le sue amnesie – tuona Pagnamenta – sono tutte espresse nell'ottica di farla uscire nel modo meno peggiore da questa vicenda».

Senza mirare – Da una parte l'imputato dichiara di essere andato ad Aurigeno per sparare alle gambe del custode. Dall'altra l'uomo ha sparato sul bersaglio in fuga, senza mirare. Il custode, dopo essere stato colpito alla schiena, si accascia al suolo. «In quel momento ero confuso. Volevo parlare con lui. Fargli capire a che punto eravamo arrivati». Il giudice si altera: «Cosa sperava? Che sparandogli alla schiena vi sareste rappacificati?» «So solo che non volevo ucciderlo», replica stringato il 44enne.

Gli attimi successivi – E poi cosa è accaduto? Quali sono state le azioni dello sparatore dopo il suo folle gesto? «Ho chiamato un conoscente poliziotto per dirgli cosa avevo fatto. E anche il mio psichiatra. Sono andato in panico. Ho preso il telefono del custode quando sono scappato perché ero convinto che fosse il mio». Lo sparatore si sposta poi in auto in direzione di Losone. La polizia lo troverà nei pressi di un supermercato.

Il paradosso – Il giudice riprende parola: «Lei si è sentito con la sua ormai ex moglie, rispondendo a una chiamata dal telefono della vittima. E le ha detto: "Te l'ho fatta pagare. Tu hai fatto piangere me. Ora piangi tu". La prego di contestualizzare». Ma il 44enne, che nei mesi prima del dramma era stato anche ricoverato in maniera coatta, continua ad appellarsi al suo stato confusionale in quegli attimi. E alle presunte provocazioni della vittima. Anche se poi, paradossalmente, la testimonianza di uno dei figli della donna contesa fa riferimento al fatto che a istigare e a provocare fosse in realtà lo stesso imputato. «Avevo bisogno di aiuto per mia figlia – argomenta il 44enne –. Per questo cercavo mia moglie. Ero un padre disperato. Mi vergognavo».

«Non sono un killer» – All'inizio di quella settimana l'uomo aveva avuto un colloquio con lo psichiatra. Ed era apparso tranquillo. «Ma poi al martedì è successa una cosa. Poi al mercoledì un'altra. Poi al giovedì... Non sono un killer. Ci sono persone che ammazzano e se ne vanno fresche e tranquille. Io ho avuto rispetto per la vittima. Provo dolore per lui che non c'è più». Scocciata l'avvocata Giorgia Maffei, rappresentante dell'accusa privata. «Ma di che rispetto sta parlando?»

Perché ha sparato proprio a lui? – Fabio Bacchetta Cattori, avvocato dello sparatore, interviene chiedendo all'imputato come mai ha sparato proprio al custode. «Ancora oggi non so darmi una risposta – risponde il 44enne alla sbarra –. Il custode si metteva tra me e la mia ex moglie. E mi insultava pesantemente». Sempre su sollecitazione del suo avvocato, lo sparatore precisa: «Dopo la separazione con mia moglie, bevevo alcol e fumavo tanta erba».

La donna che fa da tramite – La parola passa poi alla donna che avrebbe aiutato il principale imputato a trovare qualcuno che gli vendesse un'arma. «Ho conosciuto l'imputato principale per lavoro. Ogni tanto mi raccontava che non stava bene. Ce l'aveva col custode. Non l'ho preso sul serio. Le persone quando sono arrabbiate dicono cose che non fanno veramente. Ha usato anche parole forti. Come uccidere. Un giorno mi ha chiesto se conoscessi qualcuno che vendeva pistole. Non ho fatto da tramite. È stato un incontro casuale». Il giudice storce il naso: «Nel corso dell'inchiesta lei ha dato almeno sei versioni diverse sui punti chiave della vicenda».

Il venditore dell'arma – Seduto alla destra della donna c'è l'uomo che ha venduto l'arma allo sparatore. «Ho conosciuto la co imputata un anno prima dei fatti. Dunque nel 2022. Ricordo ancora quando lei mi ha chiesto una pistola per una persona. Si sono poi presentati entrambi, con auto separate. L'ho consegnata senza colpi, per 1'500 franchi (di cui 700 verosimilmente intascati dalla donna, visto che lo sparatore sostiene di averla pagata 800 franchi, ndr). L'incontro a Bellinzona, vicino a casa mia, è stato organizzato dalla donna. Quel giorno lui mi ha detto di avere problemi con l'ex moglie. Non mi ha spiegato esattamente a cosa sarebbe servita l'arma».



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