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«Dopo anni di sbornia tecnologica, serve un'inversione radicale»

Social vietati ai minori di 16 anni: lo reclama una petizione lanciata da una no profit svizzera. E piovono firme.
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«Dopo anni di sbornia tecnologica, serve un'inversione radicale»
Social vietati ai minori di 16 anni: lo reclama una petizione lanciata da una no profit svizzera. E piovono firme.

LUGANO - Via i social media, con l’introduzione di un vero e proprio divieto legale, ai minori di 16 anni. È quanto chiede al Governo federale una petizione lanciata due settimane fa dall’organizzazione no profit rossocrociata NextGen4Impact. E le firme raccolte sono già oltre 40mila. 

«Una crisi che non possiamo più ignorare» - «I nostri figli stanno crescendo in un mondo in cui like, filtri e continui confronti plasmano la loro immagine di sé, spesso prima ancora che abbiano capito chi sono veramente», affermano i promotori della petizione, che si rivolge direttamente alla consigliera federale e direttrice del Dipartimento degli interni Elisabeth Baume-Schneider. «Si svegliano con lo smartphone, si addormentano con TikTok, e intanto cresce una crisi silenziosa, che non possiamo più ignorare». Non mancano poi i riferimenti a dati riguardanti cyberbullismo, depressione giovanile e istinti suicidari. «Non daremmo mai una sigaretta a un bambino dicendo: “Non fumare troppo”. Non daremmo della vodka a un 11enne dicendo: “Bevi responsabilmente”. Allora perché diamo loro accesso a un sistema che crea dipendenza - e che è fruibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7 - senza alcuna protezione?». 

Si chiede, insomma, un cambio di rotta radicale. E recentemente, anche nel panorama politico federale, è stata evocata la possibilità di introdurre un’età minima per l’uso dei social o il divieto dell’uso dei telefonini a scuola (come già deciso questa settimana in canton Nidvaldo).

Come alcol e tabacco - «Per alcol e tabacco, ormai da decenni, abbiamo introdotto dei limiti d’età, e siamo consapevoli che agire in questo senso è stato un bene. Oggi sappiamo che i social generano dipendenza in maniera molto simile, quindi la proposta ha senso», commenta Luca Botturi, professore ordinario in media in educazione alla SUPSI.

E anche gli effetti negativi dell’esposizione precoce nonché eccessiva agli schermi sarebbero ormai in buona parte comprovati. «Per i bambini ci sono tutta una serie di controindicazioni a livello di sviluppo del linguaggio, dell’attenzione e della motricità fine. Evidenze scientifiche assodate indicano inoltre che, tra gli adolescenti, chi ha avuto un accesso precoce ai social ha un rendimento scolastico più basso».

Per Botturi il successo riscosso dalla petizione non è dunque sorprendente. «Dopo anni in cui abbiamo vissuto una forte sbornia tecnologica, ci stiamo rendendo conto che non è vero che tutto ciò che è digitale è sempre bene, e che più ce n’è e meglio è. Questa nuova consapevolezza si sta rafforzando notevolmente anche a livello internazionale, e i problemi di gestione degli schermi riscontrati tra gli adolescenti e i preadolescenti sono ora piuttosto evidenti a tutti». 

«Cosa ci si perde?» - Certo, il divieto è una misura senza dubbio radicale. «Vero, ma la domanda da porsi, come dicono gli autori della petizione, è la seguente: che cosa ci perde un ragazzo di meno di 16 anni a non avere i social? Avrebbe un’adolescenza più triste o meno stimolante? Anche riflettendoci bene, è difficile trovare uno svantaggio», fa notare il professore.

La consigliera federale Baume-Schneider, dal canto suo, un possibile ostacolo l’avrebbe individuato. Ha infatti dichiarato che «simili divieti potrebbero rendere le trasgressioni più attrattive», dicendosi più favorevole a «un approccio educativo che insegni un uso consapevole dei social media». 

«L'educazione non basta» - «L’approccio educativo alla tecnologia è importantissimo e va applicato in ambito scolastico, a tutti i livelli, così come in altri contesti», conviene Botturi. «L’esperienza e i dati ci dicono però che non è sufficiente. E la verità è che le piattaforme social hanno una tale potenza commerciale che l'educazione individuale non basta a creare un sistema virtuoso». 

L’Australia, intanto, ha già approvato un divieto di utilizzo dei social sotto i 16 anni di età. La legge, però, deve ancora entrare in vigore. E la domanda che sorge spontanea è una: Questo divieto è concretamente applicabile? Oppure è solo un'utopia?

«Si può fare» - «È una buona domanda», dice Botturi. «Ci sono di mezzo una serie di questioni tecniche e legali. È certamente complesso, però ci possiamo chiedere "un’azienda come Meta, che fattura oltre 160 miliardi di dollari all’anno, può trovare una soluzione se glielo imponiamo?" Io direi che sì, la può trovare». 

Nel concreto, «va sviluppata una procedura che permetta di controllare il documento di identità dell’utente e di comprovarne l’età. Ci saranno delle scappatoie? Sicuramente: fatta la legge, trovato l’inganno, ma il punto è indicare, come collettività, cosa riteniamo giusto e buono per i nostri ragazzi», conclude il professore.

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COMMENTI
 

Leonard 2 sett fa su tio
Ho 19 anni e vi posso confermare che i social sono uno strumento molto pericoloso. Il problema più grande dei social è che paradossalmente ci rendono più soli, e confermo. Questo avviene per diversi motivi: Il primo tra tutti è la “gratificazione sociale passiva”. Un ragazzo può passare un pomeriggio intero a guardare video seduto sul divano e comunque sentirsi tutto sommato bene. Una volta invece per sentirsi “appagato socialmente” bisognava uscire e vivere dei rapporti reali, ed era l’unico modo. Per questo motivo i social sono delle trappole molto pericolose: fanno credere al nostro cervello di vivere delle esperienze vere, ma la verità è che ciò che influìsce sulla nostra autostima e serenità sono solo i rapporti veri. Tutti i libri che parlano di esseri umani vi diranno che per essere felici e sereni hanno bisogno di amicizie, amore, fiducia, ecc. tutte cose che vengono a meno con l’isolamento causato dai social. Un altro problema è la dipendenza: si parla molto di questo famosissimo neurotransmettitore che è la dopamina, colei che stimola la ricerca del piacere, è proprio lei, la dopamina, che non ci fa staccare gli occhi dallo schermo. L’industria miliardaria dei social media ha pieno interesse nel fare stare i vostri figli più ore possibili davanti allo schermo, facendogli perdere ore di vita che potrebbero essere utilizzate per trovarsi un hobby che non sia quello di stare a guardare video lunghi 15 secondi per tutto il giorno. Dunque abbiamo parlato di isolamento, dipendenza e.. ah si, ci manca l’uso inesistente del cervello. Provate a fare un po’ di ricerca e guardate le aree del cervello attive quando si scrolla tik tok rispetto a quando si legge un libro. Non sottovalutate questo problema. E vero che i social possono essere strumento di socializzazione o di apprendimento, siamo sicuri che sia una cosa di cui non si può fare a meno? E soprattutto, se così fosse basterebbe whatsapp, perché utilizzare Instagram e tik tok per “restare connessi”? Quello che la maggior parte delle persone non capisce e che i social sono diventati luogo di intrattenimento minorato piuttosto che di “socializzazione”. È difficile tornare in dietro ma penso siamo ancora in tempo. O si cambia adesso o avremo una generazione di depressi dipendenti dal telefono che rappresenteranno la società di domani. Il problema è serio. La soluzione non è facile ma è necessario prendere posizione in modo un po’ drastico perché la situazione non è ottimale al momento.

pag 2 sett fa su tio
Risposta a Leonard
Concordo in pieno, detto poi da un ragazzo cosi' giovane acquista maggior valore, complimeti

Ponzz 2 sett fa su tio
Un divieto legale generalizzato all’uso dei social media per i minori di 16 anni non è né realistico né pedagogicamente sano. Proporre un bando totale ai social media sotto i 16 anni significa ignorare la complessità del mondo digitale e del percorso di crescita dei giovani. È una reazione impulsiva a un problema reale, ma la soluzione proposta rischia di essere più dannosa del problema stesso. In primo luogo, un divieto generalizzato è difficilmente applicabile. I giovani sono perfettamente in grado di aggirare limiti tecnici come il controllo dell’età. Basta un clic su una data di nascita falsa. Pensare che piattaforme globali come TikTok, Instagram o YouTube riescano davvero a verificare l’identità di centinaia di milioni di utenti è una pia illusione, anche per le aziende più ricche al mondo. Il risultato? I minori continueranno a usare i social, ma lo faranno senza alcun controllo, nell’ombra, privi di guida e strumenti critici. Secondo punto: equiparare i social a sigarette o vodka è una forzatura concettuale. È vero che i social possono creare dipendenza e presentare rischi, ma sono anche uno strumento di socializzazione, espressione creativa, accesso a notizie e apprendimento. Le piattaforme digitali non sono solo un pericolo: sono anche parte integrante della cultura contemporanea. Togliere ai giovani la possibilità di farne esperienza significa isolarli da una fetta enorme della realtà in cui vivono i loro coetanei. Inoltre, il paragone con l'alcol o il tabacco trascura una differenza fondamentale: nessuno impara a gestire l'alcol bevendolo a 30 anni per la prima volta, così come nessuno svilupperà un pensiero critico sui social se ci entrerà solo da adulto, senza aver avuto modo di costruire gradualmente competenze digitali. L'educazione digitale non si impone con un divieto: si costruisce con un accompagnamento intelligente e costante. Infine, dal punto di vista educativo, è pericoloso trasmettere ai giovani l'idea che la soluzione a un problema sia semplicemente vietarlo. Così si delega tutto il lavoro educativo a una legge, e si deresponsabilizzano famiglie, scuole e istituzioni culturali. Come già indicato anche dalla consigliera Baume-Schneider, un approccio formativo, integrato nelle scuole e sostenuto da genitori consapevoli, è molto più efficace a lungo termine.
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