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LUGANOLorenzo Cremonesi: «L'Europa non è pronta alla guerra»

05.06.22 - 20:01
Ospite all'USI, il reporter del Corriere della Sera si è espresso sulla necessità di ripensare il fenomeno della guerra
Università della Svizzera italiana
Lorenzo Cremonesi: «L'Europa non è pronta alla guerra»
Ospite all'USI, il reporter del Corriere della Sera si è espresso sulla necessità di ripensare il fenomeno della guerra

LUGANO - «La resistenza ucraina ci sciocca e ci dà quasi fastidio» afferma il giornalista Lorenzo Cremonesi a margine della conferenza "Guerra infinita; gli effetti della guerra in Ucraina sugli equilibri geopolitici globali e sulla regione del Medio Oriente" che ha avuto luogo nei giorni scorsi presso l'Università di Lugano. Cremonesi è stato nel Donbass e ci ternerà presto. Abbiamo colto l'occasione per riflettere sulle conseguenze del conflitto e sul modo in cui la guerra è ritornata prepotentemente nelle nostre vite. «Abbiamo passato tanti anni senza pensare alla guerra. Ma ora la guerra si avvicina e dobbiamo ripensare il modo in cui ci approcciamo a questo fenomeno», spiega il giornalista. Reporter di guerra per oltre 40 anni, Cremonesi sostiene il bisogno di una presa di coscienza europea sulla necessità di un sistema di difesa indipendente dagli Stati Uniti.

Perché l'Europa è stata colta così impreparata?
«Perché non la concepisce. Pensiamo che la guerra è qualcosa che appartiene a un luogo e un tempo lontano. La società l'ha rimossa pensando che non le appartenesse più. Si parla della guerra come di un fenomeno primitivo di cui non c'è più bisogno. La guerra è parte integrante delle vicende umane, anche i periodi più tranquilli ne sono condizionati e in fondo minacciati».

Nel suo nuovo libro, “Guerra infinita”, afferma che bisogna uscire dall’illusione di una pace perpetua. Quali sono i rischi?
«La guerra fa paura. Trovo inoltre che è un grandissimo spreco di energie, di risorse e di vite umane. Eppure, malgrado il timore, non ci si può nascondere. Se non saremo pronti ad affrontare la guerra finiremo per subirla. La guerra sta attorno a noi e non è vero che non c’è più. I nostri valori democratici sono in pericolo e serve una presa di coscienza».

La resistenza ucraina, così tenace e sicura di sé, ci dà quasi fastidio, come mai?
«Rifugiamo la logica della violenza e quindi ci è incomprensibile. Non capiamo i meccanismi di chi attacca, ma al tempo stesso non afferriamo le ragioni di chi si difende. Siamo talmente legati alla pace che siamo pronti a ogni compromesso pur di evitare la violenza».

Perché la reazione degli ucraini, pronti a morire per difendere la propria identità, ci ha scioccati?
«Gli ucraini sono europei per lo standard di vita, vanno a sciare, soggiornano in vacanza a Venezia e parlano le nostre lingue. Sono connessi con noi. La differenza sta nel fatto che sono degli europei che si difendono, e questa cosa ci sciocca. Quando siamo confrontati con i guerriglieri di Kabul oppure con i palestinesi a Gaza, abbiamo una concezione diversa. Tutti questi eventi ci sembrano lontani e irrilevanti. Gli ucraini che imbracciano il fucile sono invece molto più prossimi a noi, e il discorso cambia. Quello che sciocca è vedere qualcuno simile noi che si comporta diversamente e che reagisce in modo inaspettato».

Cosa risponde a chi sostiene che Putin è stato provocato "dall'avanzata" della NATO verso est?
«Invoco il diritto sacrosanto dell'autodeterminazione dei popoli. Quando si è sciolta la l’Unione Sovietica i popoli liberati hanno chiesto di essere legati alla NATO. Il processo è stato lungo, è iniziato nei primi anni '90 e che si è concretizzato negli anni 2000. Il modello a cui faccio riferimento è la Primavera dei popoli del 1848, l'idea che un popolo può determinarsi al di sopra dei sovrani e delle case regnanti. Questo è il principio fondamentale della democrazia. La guerra inoltre ti mette a nudo e ti obbliga a fare delle scelte, o con Putin o contro di lui. Non c'è spazio per le mezze misure».

Durante la pandemia, lei si è rifiutato di utilizzare la parola “guerra” per descrivere la crisi sanitaria. Sostiene che «vediamo la guerra dove non c'è, così come ci illudiamo di vivere una pace che tanto non è». Come spiega questa confusione?
«Perché non sappiamo più cosa è. La guerra purtroppo è padre di tutte le cose, ma non ne abbiamo più la comprensione. La risposta che c'è stata dopo l'invasione di Putin non è calibrata al tipo di pericolo. Stiamo cercando di evitare la minaccia. Di conseguenza la lotta di Zelensky ci spiazza. Ci sono dei valori, un sistema sociale, per cui vale la pensa morire e combattere, mettere a rischio tutto quello che abbiamo. Questo ci insegna la resistenza ucraina. Se non difendiamo le nostre libertà qualcuno ce le porterà via. Non sto predicando una crociata, ma la violenza non ci ha mai abbandonato e le regole della guerra non sono mai sparite».

 

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