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CONFINE / CANTONEValico di Valmara: «La Svizzera umilia 1.200 frontalieri»

10.05.20 - 13:31
Sindaci in rivolta dopo l’ennesimo no alla riapertura
tipress
Valico di Valmara: «La Svizzera umilia 1.200 frontalieri»
Sindaci in rivolta dopo l’ennesimo no alla riapertura
Da domani, con la riapertura di bar e ristoranti, attesi disagi ulteriori alla dogana di Gandria

LUGANO - È sempre più compatto il fronte dei sindaci intelvesi, dopo la conferma della chiusura prolungata del valico ticinese di Arogno, sotto i tornanti della Valmara. La situazione, come già raccontato a Ticinonline da un frontaliere negli scorsi giorni, è davvero critica con tempi d'attesa anche di un'ora e mezza per percorrere soli 10 chilometri.

Per questo circa 1'200 lavoratori che quotidianamente varcano il confine per recarsi al lavoro erano speranzosi in un annuncio (che sarebbe dovuto giungere l’8 maggio 2020 dopo le aperture confermate da Berna) che tuttavia non è arrivato.

La Valmara, insomma, resta chiusa nonostante da domani in Ticino riaprano anche bar e ristoranti. E di conseguenza è atteso un ancor più elevato flusso di veicoli che confluirà verso il valico di Gandria, con ulteriori ripercussioni sulla già delicata viabilità della Valsolda e di Porlezza.

Il consigliere provinciale e sindaco di Centro Valle Intelvi, Mario Pozzi, d’intesa con gli altri primi cittadini, ha voluto lanciare quindi un appello al prefetto Ignazio Coccia. «Umanamente questa pandemia ci ha provati - fa notare Mario Pozzi affidando su La provincia di Como - Il Ticino ha scelto di ripartire gradualmente già da dopo Pasqua, ma non mi sembra stia mettendo i lavoratori frontalieri - o almeno molti di essi - nelle condizioni di raggiungere il posto di lavoro nelle migliori condizioni. Non mi dilungo sul fatto che questo territorio sia stato umiliato dalle decisioni di Berna, ma mi preme rimarcare che non siamo disposti a subire ulteriormente questa situazione. La Svizzera ancora una volta ha deciso da sola il da farsi».

Anche per il sindaco di Cerano d’Intelvi, Oscar Gandola «non c’è una ragione plausibile per motivare questo atteggiamento della Svizzera. Stiamo vivendo un momento difficile sotto molti punti di vista. E aggiungere tensioni - attraverso 80 e più chilometri da sommare al tragitto quotidiano per raggiungere il posto di lavoro - a quelle già in essere veramente è un qualcosa che si commenta da solo e che provoca rabbia e sconcerto. Dimenticare un intero territorio è un atteggiamento grave e irresponsabile».

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