Il presidente dei medici lombardi: «In Ticino contagi alti probabilmente perché non si è attuato il lockdown».
«La “Fase 2” è la più pericolosa, perché l'idea generale è che il peggio sia passato. Ora via ai test sierologici rapidi».
COMO - C'è una zona, in Lombardia, dove il coronavirus non ha trovato terreno fertile. Nella parte sud della regione e nelle province di Bergamo e Brescia il suo impatto è stato devastante; nella fascia nord è invece stato meno tremendo. I numeri messi insieme dall'area insubrica sono, per esempio, molto migliori di quelli del Ticino. Il Varesotto conta circa 1'800 contagi per quasi 900'000 abitanti. Il Comasco poco più di 2'100 per 600'000 persone.
«Questi dati non sono certo giustificati dalle colline o dall'aria fina – ha specificato Gianluigi Spata, presidente dell'Ordine dei Medici della Lombardia – questa parte di regione è stata almeno in parte preservata dalla violenza del virus solo perché lontana dai focolai».
Il dottore comasco ha provato sulla sua pelle il Covid-19, finendo anche in ospedale...
«Ma ora è tutto alle spalle, sto bene. Sono solo preoccupato per la situazione generale».
Il peggio sembra essere passato, siamo alle porte della cosiddetta “Fase 2”.
«Come Federazione regionale siamo fortunatamente stati coinvolti nel Comitato tecnico-scientifico che dovrà decidere quali comportamenti dovranno essere tenuti in un periodo delicato. Un periodo che potrà procedere spedito solo se, per certe categorie, continuerà l'isolamento a tappeto».
All'orizzonte sono previste altre settimane di quarantena?
«Non si può scherzare su questa cosa, non ci si può affidare solo alla responsabilità dei cittadini. Una volta deciso chi potrà muoversi e come potrà farlo, dovremo utilizzare ogni mezzo per far sì che le regole siano rispettate. Servono i militari per strada? E che si usino i militari».
Per come la sta dipingendo, la situazione non pare essere in miglioramento.
«La “Fase 2” è la più pericolosa, perché l'idea generale è che il peggio sia passato. Ma non è così. Una larghissima fetta della popolazione non è entrata in contatto con il virus e quindi va tutelata. Si dovrebbe attendere il più possibile per far ripartire tutto e, comunque, non permettere alle persone di uscire sul territorio senza la certezza che siano guarite».
Finita la quarantena, che sia di 14 o di 28 giorni...
«La quarantena di 14 giorni è una cavolata. So di casi nei quali si è ancora positivi dopo 37 giorni. Si dovrebbe rientrare in società solo dopo essere risultati negativi al tampone. Dico di più, dovremmo cominciare a utilizzare i test sierologici rapidi».
I quali, sembra, a breve potrebbero essere a disposizione. Ma come funzionano?
«Si preleva una goccia di sangue capillare dal dito e dall'analisi di essa si sa se una persona è entrata in contatto o meno con il virus. Se l'esame dà esito negativo si è a posto. Un esito positivo rivela invece che il contagio c'è stato».
E quindi l'isolamento deve continuare?
«No, a quel punto si fa il tampone. Se è positivo, allora niente permesso di uscire. Se è negativo, significa che uno il virus l'ha preso ma è anche guarito dopo aver sviluppato gli anticorpi. E quindi è libero».
In Italia quando si comincerà con tali test?
«Penso accadrà in pochi giorni. Lo spero almeno. Questi sono affidabili al 95%, percentuale che porta con se una buona dose di certezze».
Questo sistema potrebbe aiutare a controllare la pandemia se fosse usato in maniera omogenea sul territorio. Le province di Varese e Como confinano però con un Ticino nel quale le direttive sanitarie sono diverse.
«Non parlo delle scelte fatte in altri Stati. Se in Ticino ci sono più contagiati rispetto alle nostre zone è tuttavia perché, probabilmente, si sono concesse troppe libertà, non si è attuato il lockdown. Perché è questo, al momento, l'unico mezzo che abbiamo per limitare il contagio».
Lo scambio Lombardia-Ticino è però fitto. Ci sono decine di migliaia di frontalieri...
«E questo è un problema. Davvero. Per noi non ha senso imporre grandi limitazioni se poi ci sono tante persone che frequentano quotidianamente o comunque periodicamente una zona un po' più “libera”».
Anche a nord del confine negozi e aziende sono perlopiù chiusi e c'è il distanziamento sociale.
«Ma non c'è il divieto di uscire dall'abitazione, sbaglio?».
No, è corretto. Sono vietati gli assembramenti di più di cinque persone.
«Ma non basta. Servirebbe muoversi tutti seguendo le medesime direttive. Solo in quel caso si può pensare di poter superare l'emergenza. I frontalieri sono tutti potenziali vettori del virus, che rientrano in una Lombardia bloccata da un Cantone nel quale ci sono meno restrizioni».