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«Educatori maneschi? Succede piuttosto di prenderle»

Dopo i recenti casi di vie di fatto in un foyer, un operatore sociale da trent'anni al fronte racconta come è cambiata la professione
«Educatori maneschi? Succede piuttosto di prenderle»
Dopo i recenti casi di vie di fatto in un foyer, un operatore sociale da trent'anni al fronte racconta come è cambiata la professione
BELLINZONA - Sono i casi estremi, quelli che fanno discutere e che danno l’impressione di un mondo dei foyer in procinto di esplodere. Con operatori - lo si è letto nei giorni scorsi per casa Stralisco a Malvaglia - che passano alle vie ...

BELLINZONA - Sono i casi estremi, quelli che fanno discutere e che danno l’impressione di un mondo dei foyer in procinto di esplodere. Con operatori - lo si è letto nei giorni scorsi per casa Stralisco a Malvaglia - che passano alle vie di fatto per contenere l’aggressività dei minori. Per avere una visione complessiva più nitida Tio.ch/20minuti ha sentito chi al fronte ci lavora da quasi un trentennio, di cui 24 anni come educatore alla Fondazione Diamante, negli ultimi 4 è stato curatore/tutore ufficiale preso Ufficio Aiuto e Protezione (Uap) settore curatele e tutele di Locarno a contatto con casi sociali e, dal prossimo 1 marzo, nuovo responsabile di Casa Faro (casa con occupazione di Riazzino, che offre internato e appartamenti protetti). «Il cambiamento in questi 30 anni c’è indubbiamente stato - afferma Francesco Fornera -. Le difficoltà sono aumentate sia per i ragazzi sia per gli adulti, ma è soprattutto negli ultimi 4 anni, stando sulla “strada”, che ho notato un peggioramento in chi vorrebbe comunque portare avanti un discorso di vita ‘normale’».

Troppo pochi per una casistica numerosa - L’aumento dei casi difficili porta a maggiori pressioni sugli educatori, «sempre più stressati dalla voglia di riuscire a rimettere subito in sesto la vita di questi adolescenti/persone. Ci si lascia prendere da una frenesia che a volte può essere controproducente, perché si dimentica che anche i ragazzi, come tutti, hanno i loro tempi e i loro bisogni». Ma Fornera punta anche il dito contro «la pressione crescente dovuta forse alla frenesia della vita moderna a cui siamo confrontati giornalmente. Siamo forse troppo pochi educatori per dovere fare fronte a una “casistica sempre più numerosa e differenziata”».

Rimettersi sempre in discussione - Fondamentale diventa la consapevolezza di fronte ai casi: «La voglia di fare - dice Fornera - è positiva, va mantenuta e “coltivata”, attraverso anche a una formazione continua individualizzata e/o personalizzata. A mio avviso la Supsi sta facendo da anni un ottimo lavoro in questo senso e quindi, sta all’educatore/operatore/persona, attingere a questa “indispensabile fonte”, anche perché con tutto il rispetto, stiamo parlando di persone e quindi dobbiamo essere più professionali possibili e se gli strumenti ci sono (vedi Supsi), perché non usarli?». Il problema, prosegue Fornera, «nasce quando si vuole “strafare”. Bisogna, a mio parere, innanzitutto conquistare la collaborazione/stima dell’utente con cui iniziare una collaborazione. Mai dimenticare che non siamo onnipotenti e che non dobbiamo imporre il nostro credo. Sicuramente è molto importante rimettersi in discussione ogni giorno».

Il lavoro per ritrovarsi - Altrettanto importante è la possibilità di reinserimento socio-professionale nel territorio. Reinserimento che per i ragazzi meno giovani si dovrebbe tradurre, nel limite del possibile, in lavoro. «Un’occupazione, al genere umano, detta i ritmi. Obbliga la persona ad alzarsi regolarmente in orario il mattino e scandisce la giornata. Certo non per tutti può funzionare e l’educatore deve discuterne con la persona che si ha di fronte. Discutere non imporre, discutere per fare trovare la giusta “via alla persona”, la “via” della persona e non quella dell'educatore».

Capita anche di prenderle - La situazione esplosiva può comunque presentarsi. «Importante affinché ciò non avvenga è conoscere il passato e il presente del giovane. Farsi raccontare, senza prevaricare, ciò che l’ha fatto cambiare». E se scoppia la scintilla? «Può capitare che si perdano le staffe, siamo umani. Ma il primo passo dopo un’arrabbiatura va fatto dall’educatore che deve, a mio avviso, cercare di riallacciare il dialogo con il ragazzo, per fare si che si ricominci il discorso di reinserimento sociale in senso lato, iniziato». Talvolta, prosegue Fornera, «non è facile. Quando magari ci si trova a gestire 7-8 adolescenti piuttosto “importanti”. Siamo umani, non robot. Io comunque di educatori “maneschi” non ne ho mai fortunatamente conosciuti. Anzi, può succedere piuttosto, ed è capitato anche a me, di “prenderle" da qualche personaggio. Ma fa più rumore mediatico il contrario».

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