«I dottori svizzeri? Impauriti dalle casse malati e troppo specializzati»
Una ticinese, vittima di diagnosi errate, sta raccogliendo un dossier su casi analoghi da portare a Berna. Intanto, ecco le critiche di Olaf Kuhnke, noto medico controcorrente, alla sanità elvetica
ROVEREDO (GR) – «I medici svizzeri sono portati ad avere poco coraggio nell’approfondire i sintomi del paziente, hanno paura delle casse malati». Parole di Giulia C., 30enne ticinese affetta dalla sindrome di Sharp. L’avevamo intervistata a ottobre 2016. La giovane aveva raccontato un lungo percorso fatto di diagnosi errate, suscitando le perplessità di Franco Denti, presidente dell’Ordine dei medici ticinesi. I due, nel frattempo, si sono incontrati. Per chiarire. Giulia C., tuttavia, ha deciso di andare oltre. «Sto raccogliendo le testimonianze di ticinesi che, come me, sono state vittime di false diagnosi. E le porterò a Berna. Il sistema deve cambiare». Affermazioni dettate dalla frustrazione? Oppure scomode verità su cui riflettere? Ne abbiamo parlato con un medico che da anni va contro corrente: Olaf Kuhnke, responsabile del centro Orthobiomed di Roveredo Grigioni, nonché presidente della Zaen, la più grande associazione europea di medici per la medicina complementare.
Dottor Kuhnke, cosa c’è di verosimile nelle affermazioni di Giulia C.?
Molto. I medici svizzeri, quando si tratta di fare esami, devono sempre stare attenti a non superare la media nazionale dei costi. Se uno lo fa, deve essere pronto a dare spiegazioni alle casse malati. E se queste spiegazioni vengono poi giudicate inadeguate, deve pagare di tasca sua. Io stesso, tempo fa, ho dovuto ridare circa 30.000 franchi alla cassa malati per una questione simile. Va da sé che un medico, prima di fare un esame sul paziente, ci pensa due volte.
Come valuta i criteri secondo cui viene deciso se un esame è rimborsabile o meno?
Andrebbero rivisti dal Consiglio federale al più presto. Ci sono esami utili che non vengono pagati dalla cassa malati. La verità è che siamo esposti a situazioni che, una generazione fa, non erano neanche immaginabili. E allora bisognerebbe adeguarsi.
Perché è così difficile cambiare il sistema?
Non voglio fare polemica. I costi in ballo sono altissimi. Molte persone hanno interesse affinché le cose continuino così.
Oggettivamente, e onestamente, come valuta il sistema sanitario elvetico?
Siamo all’avanguardia sia per la formazione continua, sia nell’individuazione di malattie comuni, sia nel fare fronte a situazioni di emergenza. Da una ventina d’anni stiamo, tuttavia, perdendo la capacità di avere uno sguardo clinico, d’insieme, a 360 gradi, sul paziente.
Tradotto: i medici svizzeri sono troppo specializzati?
Sì. E mi spiego. È un discorso che parte dalla formazione accademica. All’Università non si insegna più a individuare gli indizi visibili nel paziente, dall’odore agli occhi, passando per le labbra. Ognuno vede la cosa dal suo punto di vista. E non più nel complesso. Inoltre, siamo troppo sicuri delle nostre apparecchiature. Tendiamo a delegare quasi tutto alla tecnologia. È una medicina sempre più materialista, che contraddistingue i Paesi del mondo occidentale.
Quali sono le conseguenze di un simile approccio?
Si fa fatica ad andare indietro nel tempo, ripercorrendo così la storia del paziente. Dalla mia esperienza posso dirvi che alcuni problemi apparentemente inspiegabili in realtà possono derivare da infiammazioni trascurate, da traumi del passato. Oggi manca la comprensione della dinamica delle patologie.
Oggi capita anche che i dolori alla testa vengano curati con gli psicofarmaci. Come lo spiega?
Purtroppo accade. Ed è una scelta di comodo. Per non approfondire. Andando indietro nel vissuto della persona, tramite esami più approfonditi, ci si accorge magari che la causa è legata a disfunzioni della tiroide o dell’ipofisi. Fare semplici esami del sangue a volte non basta. Anche perché una situazione deve essere già particolarmente avanzata per essere visibile nel sangue.
Insomma, si torna al discorso di partenza. È come un cane che si morde la coda.
Sì. Abbiamo, in un certo senso, le mani legate. Non possiamo osare troppo. E chi osa deve essere pronto a pagare di tasca sua. Così capita che situazioni diagnosticatili si trascinino per anni. Anche decenni.



