Un figlio dopo i 40 anni? Il social freezing non funziona sempre

La rivelazione di uno studio. Ma gli esperti chiariscono: «A incidere soprattutto l'età in cui si sceglie di criocongelare gli ovuli»
ZURIGO - Il social freezing è sempre più gettonato in Svizzera come in altri Paesi. Ma funziona veramente? Stando un recente studio pubblicato Human Reproduction Update – una meta-analisi coordinata da Ayala Hirsch della Hebrew University – i tassi di successo rimangono relativamente bassi. Solo il 28% delle donne che hanno utilizzato i propri ovuli congelati è riuscita a concepire un figlio. Tuttavia, l’età al momento del congelamento è un fattore determinante: le donne sotto i 35 anni hanno avuto un tasso di successo del 52%, mentre per quelle sopra i 40 anni la percentuale scende a meno del 20%. L'indagine ha preso in considerazione 10 ricerche che hanno coinvolto complessivamente 8750 donne in otto Paesi.
Un dato sorprendente è il basso tasso di utilizzo effettivo degli ovuli: solo l’11% delle donne ha deciso di impiegarli per tentare una gravidanza. Questo valore potrebbe salire in futuro, ma al momento solleva interrogativi sul reale impatto della procedura.
Brigitte Leeners, direttrice della Clinica di Endocrinologia Riproduttiva dell’Ospedale Universitario di Zurigo, conferma al Tages-Anzeiger la solidità dello studio ma sottolinea che i risultati sono parzialmente trasferibili alla Svizzera, dove vigono regole più restrittive. In Svizzera, infatti, l’inseminazione artificiale è consentita solo all’interno di una coppia sterile, e l’uso degli ovuli congelati prevede prima un tentativo spontaneo di concepimento per almeno un anno. Inoltre, la legge impone un limite massimo di dieci anni per la conservazione degli ovuli, anche se sono in corso proposte per estenderlo.
Secondo l’Ufficio federale della sanità pubblica, nel 2023 sono oltre 2500 le donne che in Svizzera hanno scelto la strada del social freezing, ossia la crioconservazione degli ovuli non a scopi medici, strumento promosso come alleato per conciliare carriera e maternità futura. Si parla di un aumento di oltre il 30% rispetto all’anno precedente.
Il problema della bassa efficacia del social freezing sembra essere legato anche alla scarsa aderenza alle condizioni ideali. Michael von Wolff, primario all’Inselspital di Berna, osserva che nella maggior parte dei casi analizzati l’età media delle donne al momento del congelamento (37,2 anni) era superiore alla soglia raccomandata di 35 anni. Inoltre, il numero medio di ovuli crioconservati (12,6 per donna) era inferiore alla quantità consigliata di almeno 20 ovuli per garantire una possibilità dell’80% di ottenere una gravidanza. Le motivazioni dietro questa discrepanza sono molteplici: dalle limitazioni biologiche alla decisione di interrompere il trattamento per ragioni economiche o psicologiche.
Von Wolff sottolinea che anche donne giovani possono produrre pochi ovuli per motivi individuali. Inoltre, suggerisce di evitare il congelamento prima dei 30 anni: in quell’età le priorità personali possono ancora cambiare e spesso mancano le risorse economiche necessarie. Leeners concorda e aggiunge che posticipare la maternità espone a maggiori rischi ostetrici e non risolve, ma rinvia, i problemi legati alla conciliazione tra famiglia e lavoro.
Infine, Leeners e von Wolff evidenziano che, pur non essendo una garanzia, il social freezing può aumentare le probabilità di diventare madre se effettuato in condizioni ottimali. Tuttavia, raccomandano di accompagnare questa opzione con politiche di sostegno concreto alla genitorialità, come servizi di assistenza all’infanzia e supporto alle giovani famiglie, per favorire una pianificazione familiare realmente efficace e sostenibile.