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L'OSPITEReferendum finanziario: un boomerang per le classi popolari!

22.09.21 - 11:22
Zeno Casella, membro della Direzione del Partito Comunista
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Referendum finanziario: un boomerang per le classi popolari!
Zeno Casella, membro della Direzione del Partito Comunista

Allo “Stato spendaccione” dev’essere accorciato il guinzaglio: questo il messaggio dei promotori del referendum finanziario obbligatorio, in votazione il prossimo 26 settembre. Un’iniziativa deleteria, promossa da ambienti neoliberisti che vorrebbero una società senza Stato (o quasi), regolata dalla “legge della giungla”, dove solo il più forte sopravvive. Un’iniziativa sconsiderata, che evita accuratamente di menzionare la funzione redistributiva della spesa pubblica: i servizi pubblici e le prestazioni sociali a vantaggio delle classi meno abbienti vengono infatti finanziati principalmente tramite le imposte (progressive) che gravano maggiormente sui ricchi. Lo Stato è dunque amico, non nemico dei cittadini comuni!

Certo, la progressione fiscale attuale è ben lungi dall’essere soddisfacente: i ricchi e le multinazionali, al contrario di quanto dichiarano i liberali che vogliono alleggerirli ulteriormente, pagano fin troppo poco e dovrebbero essere chiamati maggiormente alla cassa, come richiedono la “Tassa dei milionari” proposta dal Partito Comunista e l’iniziativa 99% promossa dalla Gioventù Socialista. Ma pensare di risolvere le difficoltà delle classi popolari riducendo la spesa pubblica (sperando che questo serva poi a ridurre la pressione fiscale su lavoratori e piccole imprese) è pura follia. Serve proprio il contrario!

In quanto sindacalista studentesco, l’esempio della scuola mi risulta evidente: qualora l’iniziativa venisse approvata, qualunque nuovo investimento nella formazione potrebbe infatti essere bloccato in ragione di semplicistici (e fuorvianti) argomenti finanziari. Chi sarebbe in grado di definire ad esempio il prezzo del diritto allo studio? Il potenziamento delle borse di studio, ottenuto due anni fa dopo una lunga battaglia sindacale, ha ad esempio un costo stimato di circa 1 milione di fr. all’anno: cumulata su 4 anni, questa ulteriore “spesa” si avvicina pericolosamente alla soglia prevista dall’iniziativa. Lo stesso vale per l’edilizia scolastica: dopo anni di proteste da parte del SISA per il vergognoso stato delle scuole ticinesi, il DECS ha varato alcuni anni fa un piano d’investimenti per 180 milioni di franchi, suddivisi in diversi progetti dal “costo” compreso fra 20 e 30 milioni. Proprio le soglie previste dal referendum finanziario.

Giocando sull’impressione dei numeri, gli ambienti che hanno lanciato l’iniziativa hanno l’obiettivo di bloccare l’attività e la progettualità dello Stato (sociale), a tutto vantaggio del mercato e a danno delle classi popolari che beneficiano maggiormente delle borse di studio e delle scuole pubbliche. La parte “moderata” del parlamento propone un controprogetto che persegue gli stessi obiettivi in modo ritenuto più blando: non facciamoci abbindolare e respingiamo entrambi!

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