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L'ANNIVERSARIOLa "condanna" di Capaci

23.05.24 - 10:05
L'anniversario della strage in cui fu ucciso Giovanni Falcone fa riemergere domande senza risposta e (troppi) slogan oramai usurati
Imago
La "condanna" di Capaci
L'anniversario della strage in cui fu ucciso Giovanni Falcone fa riemergere domande senza risposta e (troppi) slogan oramai usurati

PALERMO - Trent'anni. Trentuno. Trentadue... L'appuntamento con il ricordo della strage di Capaci - puntuale, con i suoi buchi neri perenni a oscurare «le idee che restano» - sta diventando una sorta di "condanna" per un Paese che non riesce a fare i conti con quella stagione. Le manifestazioni, gli slogan, i discorsi; sempre uguali. Ripescati per l'occasione e poi rimessi nel cassetto, già pronti per l'anno successivo.

Giovanni Falcone moriva il 23 maggio 1992, vittima di quell'apocalisse scatenato sull'autostrada A29, in prossimità di Capaci, dove persero la vita anche la moglie, Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. E se quello dell'anno scorso è stato il primo anniversario senza più nessuno dei cosiddetti "boss stragisti" in libertà, questo è il primo in cui un altro di quei boss - uno che avrebbe potuto dire molto su quegli anni - si è portato via un altro bel pezzo di verità. Con Matteo Messina Denaro, l'ultimo dei Corleonesi, nella tomba ci sono finiti tanti segreti e anche quell'alibi - è innegabile, molto comodo - del grande cattivo. Quello a cui addossare tutte le colpe, per non doverle cercare altrove.

Il soggiorno di Messina Denaro nelle carceri italiane è stato breve - arrestato il 16 gennaio dell'anno scorso, malato, è morto il 25 settembre successivo - e non ha consentito di illuminare quelle zone d'ombra. L'ex padrino di Castelvetrano però, portatore di quella contraddizione che è distintiva dei cosiddetti "uomini d'onore", pur senza mai collaborare, ha detto senza dire. Qualcosa ha lasciato in quegli interrogatori - quasi assurti a suo testamento - consegnati al procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, e al suo aggiunto, Paolo Guido. Quelli in cui, più con le domande che non le risposte, ha "rimproverato" ai magistrati di essersi «accontentati» su Capaci. E, di riflesso, anche sul resto.

«Le stragi? Tutto da là parte»
Messina Denaro parla di «cose» a cui «nessuno è mai arrivato». Perché «a me sembra un poco riduttivo dire che a Falcone lo hanno ucciso per la sentenza del Maxi processo. Se poi voi siete contenti di ciò, ben venga, sono fatti vostri, ma la base di partenza non è questa… Parlo di grandi cambiamenti», citando alcuni stralci dai verbali pubblicati, l'autunno scorso, da Repubblica. «Accontentati» che il giudice Falcone sia stato ucciso «perché ha fatto dare 15 ergastoli al Maxi processo?»

Ma «perché fa riferimento proprio alla strage Falcone?», chiese in quella sede Paolo Guido. «Perché penso sia la cosa più importante, da dove nasce... Quantomeno da dove nasce tutto». Ma «tutto cosa?». «Le stragi, l’input. Sì, sì, questa strage…, tutto da là parte». Così rispose il padrino trapanese; senza accendere lume alcuno ma, semmai, ricalcando i contorni del buco nero. Quella strage, appunto. Perché organizzarla "in grande stile" - l'attentatuni, come viene ricordato -, in un modo tanto eclatante? Perché quel commando di killer, inviato a Roma - di cui faceva parte anche Matteo Messina Denaro - viene richiamato a Palermo e sostituito dal tritolo, in Sicilia? Forse il trentatreesimo sarà, finalmente, quello buono.

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