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BELLINZONA«Una guerra apparentemente infinita, continua a distruggere la vita di milioni bambini»

15.11.23 - 05:30
È stata inaugurata a Bellinzona una mostra a scopo di beneficenza di Agnieszka Balut, che racconta la vita quotidiana dei bambini di Giuba
Agnieszka Balut
«Una guerra apparentemente infinita, continua a distruggere la vita di milioni bambini»
È stata inaugurata a Bellinzona una mostra a scopo di beneficenza di Agnieszka Balut, che racconta la vita quotidiana dei bambini di Giuba

BELLINZONA - Da alcuni giorni è stata inaugurata allo Spazio Aperto di Bellinzona la mostra di beneficenza "I bambini di Giuba" realizzata dalla fotografa polacca Agnieszka Balut. Fino al 29 novembre sarà possibile osservare la vita quotidiana dei piccoli abitanti della capitale del Sud Sudan attraverso 19 fotografie, 8 collage e 3 dipinti olio su tela.

Seppur sia la nazione più giovane del mondo, il Sudan del Sud è un Paese dal passato e dal presente difficile e dal futuro incerto. Sin dalla dichiarazione d'indipendenza dal Sudan due fazioni - quella del presidente Salva Kiir e quella dell’ex-vicepresidente Riek Macher - si sono battute per il controllo del Paese. Ora, dal 2018, le parti hanno raggiunto un accordo di pace nazionale, ma la situazione resta fragile. Con milioni di bambini che non hanno conosciuto nulla al di fuori di una realtà di conflitto - 3 su 4 - e il cui accesso all'istruzione e alla sicurezza alimentare è fortemente limitato.

Come ci racconta la fotografa Balut, che abbiamo intervistato, una scuola su tre è danneggiata, distrutta, occupata o chiusa dal 2013. «Il Sud Sudan è attualmente il Paese con la più alta percentuale di bambini in età scolare al mondo. Più di 2 milioni di loro – o più del 70% degli studenti previsti – non ricevono alcuna istruzione. Più di 2,6 milioni sono stati durante la guerra».

Cosa l'ha portata a recarsi in Sud Sudan?
«Per anni sono stata associata a molti progetti sociali in molti paesi. Il viaggio in Sud Sudan è stato una continuazione. Osservazione dello sviluppo e della pianificazione di nuovi progetti sociali e umanitari».

Era la prima volta che viaggiava nel Paese?
«Sono stata più volte in Sud Sudan. Durante le mie visite il clima era relativamente calmo e durante la seconda visita c'era un accordo ufficiale tra le parti in guerra che non è stato rotto».

Com'è nata l'idea per il progetto?
«La risposta è semplice: volevo mostrare come vivono le persone e in particolare bambini in uno dei Paesi più poveri del mondo. Loro non vogliono emigrare, lasciare il loro Paese. Vogliono vivere a “casa”. Hanno solo bisogno del nostro supporto per poterlo fare. Tutte le fotografie provengono da Giuba, la capitale del Sud Sudan, e dall’area circostante. Le ho scattate in un campo di sfollati, in centri per bambini senza tetto e orfanotrofi, in un centro per bambini e ragazzi, nelle scuole elementari e nelle strade e aree della capitale. Nel Sud Sudan esiste un divieto assoluto di scattare le fotografie: i dirigenti non vogliono che il mondo veda la loro vita reale».

Potrebbe raccontarci della vita di tutti i giorni?
«La mia vita quotidiana era basata sul lavoro, sulle conversazioni, sui contatti con le persone e sull'osservazione quotidiana. Ero sempre esposta a una temperatura superiore ai 40 gradi».

Come spiegherebbe il clima che si respira per le strade di Giuba a qualcuno che non vi è mai stato?
«L'atmosfera che si respira per le strade di Giuba durante la stagione secca è quella della vibrazione dell'aria calda e della ricerca dell'acqua, quella del Nilo viene portata alla popolazione su carri a botte. Durante la stagione delle piogge si lotta contro la malaria, l'umidità e le zone allagate. Gli indigeni vivono la propria vita: mercati, commercio ambulante, servizi. La loro vita quotidiana dipende dal loro status sociale e dal gruppo sociale e clan a cui appartengono. Nella capitale del paese si intrecciano le vite dei funzionari, che corrono su grandi jeep, ministeri, scuole fondate da missionari, campi per sfollati e rifugiati, tribù nomadi e centri - orfanotrofi per bambini e ragazzi di strada. Indubbiamente, una persona, che visita il Paese per la prima volta dovrebbe avvalersi dei servizi di una guida locale o di gruppi stranieri, che risiedono e lavorano sul posto».

Con lo scoppio della guerra in Sudan e una carestia non dichiarata in Etiopia, molti che erano fuggiti dal Paese sono dovuti tornare indietro. Ha avuto modo di confrontarsi con alcune di queste persone?
«Il confine tra Sud Sudan ed Etiopia era e rimane tuttora un territorio molto conteso e instabile. Ho avuto l'opportunità di incontrare e parlare con un ex bambino soldato, arruolato con la forza nelle fila delle forze combattenti. Dall’inizio del conflitto nel 2013 in Sud Sudan, oltre 2,5 milioni di persone, tra cui oltre 1 milione di bambini, sono fuggiti nuovamente dal Sud Sudan per cercare sicurezza nei paesi vicini. Purtroppo la strada che dovrebbe portare davvero a chiudere la guerra civile è ancora lunga. Nelle file dell’esercito regolare e in quelle dei ribelli continuano a esserci migliaia di bambini soldato, reclutati con la forza e in spregio ai diritti umani fondamentali. Le parti in conflitto possono e devono fare di più per ripristinare la pace. I bambini nel Sud Sudan meritano di meglio. Mentre il Sud Sudan compie 12 anni, una guerra apparentemente infinita, continua a distruggere la vita di milioni bambini».

Viste le numerose conseguenze portate dall'indipendenza, secondo lei i cittadini tornerebbero indietro, a prima del 2011?
«Tutte le guerre, i conflitti globali e locali, sono sempre una lotta per interessi. La popolazione, indipendentemente dalla religione o dall’etnia, non ha alcuna influenza su questo. Non spetta a loro iniziare e porre fine alle guerre. In un modo o nell'altro sono solo vittime e vogliono sopravvivere».

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