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LUGANO

Vi racconto come ho imparato ad amare i rettili del mondo

A confronto con il direttore della più grande esposizione d’Europa, da domani a Lugano
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Vi racconto come ho imparato ad amare i rettili del mondo
A confronto con il direttore della più grande esposizione d’Europa, da domani a Lugano
LUGANO - Perché varcare la soglia e sfidare la paura? Perché non c’è da averne, anzitutto. Domandate a Karim Amri, direttore dell’esposizione Reptiles du Monde, che da bambino i serpenti proprio non li sopportava...

LUGANO - Perché varcare la soglia e sfidare la paura? Perché non c’è da averne, anzitutto. Domandate a Karim Amri, direttore dell’esposizione Reptiles du Monde, che da bambino i serpenti proprio non li sopportava e quando ci pensava era con terrore e ripugnanza. «Sono cresciuto in un posto dove c’erano parecchie vipere e i ragazzi  avevano l’incubo di avvicinarne una», ricorda la sua infanzia a Montreux, nel canton Vaud. Schivo sulle prime, cauto nel lasciarsi andare come può esser chi è avvezzo a far fronte all’idiosincrasia degli altri verso una passione, lascia che gli accenni diventino dettagli, poi racconti, narrazioni caricate di emozione, desiderio infine di svelare al prossimo il senso di una vita. Che sarebbe finito a occuparsi di serpenti, non lo riusciva certo a immaginare. «Poi a 16 anni mi hanno offerto di prendermi cura di un’iguana».

Il lavoro in un vivaio, il dovere che pian piano si fa seduzione, reciproca conquista: sua di loro e viceversa. «Mi hanno intrigato», dice prima di fermarsi: vietato entrare in quel campo che, lui lo sa bene, ha bisogno di esperienza e sensazioni progressive per essere compreso, invece che snobbato con buona dose di insano pregiudizio. Sono tre anni oggi che dirige la società “Reptiles du Monde”, e con cura sceglie gli esemplari da portare in giro per l’Europa: Germania, Francia, soprattutto Svizzera, da Servion a una serie di città selezionate ogni volta con approfondimento e precisione. Un’operazione che è anche sforzo di psicologia, e la ragion per cui in Ticino si ritorna soltanto dopo otto anni: tre settimane di esposizione, da domani al 9 marzo al Padiglione Conza in via Campo Marzio a Lugano, sono una risposta più che sufficiente ad appagare una curiosità che, spiega Karim, ha bisogno di tempo e soprattutto novità per rigenerar se stessa. Stavolta ne ha portate cinque, e hanno i nomi dei serpenti più pericolosi al mondo. Taipan, il più tossico in assoluto, capace di uccidere con il corrispettivo di un sol morso cento uomini; Mamba nero, che provoca la morte in trenta minuti appena; Echide carenata, cinquanta centimetri neanche capaci di causare il numero maggiore di decessi all’anno; Vipera soffiante, la più letale in Africa per colpa di un carattere irascibile; Cobra reale, fino a sei metri di lunghezza e il potere di ammazzare un elefante. «Altra novità rispetto all’ultima volta in cui siamo venuti in Ticino, con un’esposizione più modesta, è il nutrimento»: uno spettacolo ripetuto quattro volte al giorno, quando si potrà osservare un serpente divorare un topo. Nel congelatore ce ne sono cinquecento, arrivati nel convoglio che nel pomeriggio di mercoledì ha portato in città oltre quattrocento esemplari fra serpenti, lucertole, scorpioni, un caimano nano, ragni, tartarughe e anche anfibi: chiusi nelle scatole e stipati in un furgoncino con lo stemma di Retriles du Monde ad avvisare del trasporto eccezionale, «ma solo quando facciamo viaggi lunghi: altrimenti la gente è capace di prendersela con la macchina parcheggiata».

Manifestazioni palesi di disprezzo che sono preconcetto, e con i quali non si riesce mai a fare i conti: a partire dal momento in cui il serpente diventa oggetto di un coinvolgimento personale, motivo di fascino che rifiuta la paura. «No, non ce l’ho più. Casomai sorpresa, a volte. Paura no. Come potrei, non riuscire a lavorare». Nemmeno il morso al dito medio ha saputo andare a ripescarla fra i ricordi della giovinezza. Karim mostra il polpastrello e, dopo qualche tentativo, si lascia infine andare, confessando quella che identifica come ingenuità tipica dell’esperienza. «Ho aperto la scatola, ma mi sono dimenticato di togliere il serpente. Quando ho infilato la mano per appoggiare la ciotola dell’acqua, è successo». Perché il più grande rischio, dice e ribadisce, è l’abitudine: quando si è guadagnata tanta confidenza da scordarsi che non bisogna abbassare mai la guardia, considerare amico un animale che, per quanto nato in cattività e cresciuto al proprio fianco, resta selvaggio. «Anche perché il serpente non ti riconosce. Per lui un uomo vale l’altro. Il coccodrillo no invece, sa chi sei», rivela, e parla di Alì l’alligatore, di quella volta in cui soffriva di micosi e ogni giorno gli frizionava il corpo con una pomata, senza usare museruola. Alì gli si accoccolava ai piedi, stremato dalla malattia: ma quando un giorno entrò nel recinto un altro uomo, si scostò un attimo da lui, andò incontro allo sconosciuto e spalancò le fauci. Solo quando se ne fu andato ritornò ad accoccolarsi vicino al suo Karim.

Mai perdere la concentrazione: prima regola. Distrarsi a uno squillo del telefonino, chiacchierare e dedicarsi ad altro in contemporanea; prender confidenza più di quella necessaria. «Può essere fatale». In quindici anni a lui è capitato una volta appena, può dirsi fortunato. «Statisticamente, succede un incidente ogni sette anni». La prigionia non aiuta: perché sembra una contraddizione ma a un serpente l’abitudine dà più coraggio di attaccare: e va bene possedere il giusto antidoto che garantisca la sopravvivenza, ma la certezza che si torni come prima non è mai assoluta.

Per questo è bene avere le idee chiare, prima di cedere a una tentazione ben diffusa e comprarsi un rettile, o di intervenire quando scappa dalla casa di un privato. «A volte le forze dell’ordine ci chiamano e ci chiedono come è giusto comportarsi». Reptiles du monde, società dalle molteplici attività - non ultima la vendita nel centro dove vivono circa mille esemplari -, organizza corsi per gente comune oppure vigili del fuoco: «Insegniamo a “detenere” ai primi, a “intervenire” ai secondi». Previste nove ore di manipolazione per farsi un’idea di cosa voglia dire toccare la pelle di un serpente, quali sensazioni dia al tatto e alla psiche.  Il bisogno di sapere è più forte della resistenza psicologica: e alla fine a contemplare i serpenti e a soddisfare il desiderio di toccarli sono alunni delle scuole, anziani delle case di riposo, pazienti di strutture socio-sanitarie che con giusto anticipo prenotano le visite: anche qui a Lugano, dove si attendono, secondo un buon auspicio, 10mila visitatori. «Vengono intere famiglie, adulti e bambini che si incollano al vetro a guardare». Una sezione è riservata ai piccoli, nati e allevati da Reptiles du monde: perché «è molto raro che si vada a recuperare l’animale nei luoghi esotici. Per l’80% almeno si tratta di un’autoproduzione. Nascono in cattività, anche cinquanta da una stessa madre». E presto si assuefanno a sfamarsi con i ratti, anche quando la natura imporrebbe di mangiare propri simili e comunque molto meno di quanto accadrà da domani in poi a Lugano, dove verranno sovralimentati a beneficio del pubblico tifoso. «I nostri di norma vengono nutriti una volta alla settimana. Ma in natura mangiano anche una volta ogni 3-4 mesi. Qualcuno perfino una volta all’anno. Grosse prede, certo», ragiona Karim, annunciando la “dieta” alimentare cui saranno sottoposti dopo l’addio al Ticino. Quattro mesi almeno per organizzare tutto, specie bolli e documenti, testi da tradurre, campagna pubblicitaria da aggiornare; tre giorni per un allestimento accelerato dentro il padiglione, poi arrivederci a chissà fra quanti anni. Un motivo per prendere parte all’evento? Karim non lo cerca troppo lontano. È scritto sulla locandina: perché è la più grande esposizione di rettili in Europa, un’occasione rara per vederli tutti insieme. «Può bastare?».

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