Tumore al cervello, "In Ticino tutte le cure possibili"

Il tumore al cervello: estirparlo, avvelenarlo o lasciarlo senza cibo? Se ne parla per tre giorni a Lugano. Noi ne abbiamo parlato con il dottor Gianfranco Pesce tra gli organizzatori dello Swiss Italian Neuro Oncology Meeting
LUGANO - Come si combattono i tumori al cervello, quali sono le avanguardie della scienza? Gli esperti di tutta Europa ne parlano per tre giorni a Lugano.
Il nostro cervello è “un santuario”, così ce lo ha definito il dottor Gianfranco Pesce, tra gli organizzatori dello Swiss Italian Neuro Oncology Meeting, un incontro di prima importanza durante il quale i maggiori esperti, riuniti all’Ospedale Regionale di Lugano, discuteranno delle più avanzate terapie per combattere i tumori del sistema nervoso. Solo pochi decenni fa erano ben poche le armi a disposizione della medicina, ma i progressi degli ultimi decenni riescono a dare una speranza alle circa 30 persone che ogni anno devono confrontarsi con queste patologie nel nostro Cantone.
La classica neurochirurgia si è vista nel tempo affiancare da altre metodologie: chemioterapia, radioterapia e recentemente anche i farmaci vascolari, in grado di impedire al tumore di trarre nutrimento dal nostro corpo. Gianfranco Pesce è il caposervizio di radio oncologia e radioterapia all’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana e ha accettato di approfondire con noi le ultime frontiere e le più importanti sfide di questa branca della medicina.
Che disciplina è la neurooncologia?
"Più che una disciplina è una branca multidisciplinare. È un lavoro dove devono interagire molte figure professionali: sia per le diverse terapie utilizzate, sia per le varie complicazioni che derivano dalla malattia".
A che punto siamo nella cura dei tumori del sistema nervoso?
"Negli ultimi dieci anni si sono visti dei miglioramenti sia per quanto riguarda la prognosi, sia per il miglioramento delle funzioni. È difficile generalizzare, vi sono molte patologie diverse. Ma ci sono dei casi come quello del glioblastoma, il tumore più frequente tra quelli maligni che colpiscono l’encefalo, negli ultimi dieci anni si è vista triplicare la sopravvivenza. Questo anche perché al trattamento precedente, che comprendeva chirurgia e radioterapie, si è aggiunta una certa chemioterapia. Si è poi scoperto un marcatore biologico che permette di identificare una parte di pazienti che ha una prognosi più favorevole".
Si parla molto di questi marcatori, perché sono così importanti?
"I marcatori biologici sono diventati essenziali per le scelte terapeutiche. Analizzando a livello molecolare i campioni tumorali si possono ritrovare questi marcatori biologici che permettono in alcuni casi di prevedere il grado di responsività ai trattamenti. Siamo in grado di predire se una determinata chemioterapia avrà più o meno successo. Basti pensare come pochi anni fa si prescrivesse a tutti sia la chemioterapia che la radioterapia, oggi possiamo scegliere di usare solo la terapia che ha maggiori possibilità di successo".
Come si scopre un tumore cerebrale?
"La gran parte delle diagnosi è fatta con la risonanza magnetica e con la Tac. Alle quali oggi si sono affiancate nuovi strumenti come la Pet e altre forme di risonanza magnetica. Al Neurocentro ormai abbiamo un livello di imaging che non ha niente da invidiare ai centri universitari".
Capita di scoprire un tumore per caso?
"Non spesso. In genere sono i sintomi a svolgere gli esami di cui parlavo prima. Ma in rari casi può capitare che durante una risonanza o un imaging fatti per altri motivi si scopra casualmente un tumore cerebrale".
Qual è la prima forma di terapia che si intraprende?
"Dipende. Ci sono delle forme tumorali che si trattano con la sola chirurgia, come molti casi di meningiomi, altri vengono curati con la radiochirurgia (una forma di radioterapia molto mirata). Ci sono altri tumori molto particolari, come i linfomi cerebrali, che si trattano con la sola chemioterapia, ma anche in quel caso serve l’atto bioptico per avere la diagnosi".
Quali sono i più moderni strumenti in mano al neurochirurgo?
"In ambito neurochirurgico recentemente al Neurocentro c’è stata l’acquisizione di apparecchiatura molto avanzate per il monitoraggio intraoperatorio, per la pianificazione dell’intervento e per tutti quei controlli che permettono una chirurgia più sicura e più radicale allo stesso tempo".
Monitoraggio intraoperatorio, di cosa parliamo?
"Quando si va a operare a livello intracerebrale bisogna fare uno slalom. Il chirurgo opera al microscopio operatore, con gesti molto piccoli deve togliere il più possibile del tumore evitando di danni ai centri nervosi che creerebbero dei deficit neurologici importanti, come paralisi, disturbi del senso e così via. L’anatomia ci insegna dove sono questi centri, ma non siamo tutti uguali. Così il neurochirurgo può scoprire se un centro è spostato di qualche millimetro attraverso strumenti come la stimolazione neurologica intraoperatoria. Si tratta di stimolare una zona del cervello con un elettrodo quando, per esempio, si muove la mano si scopre l’esatta posizione del centro che la controlla".
Si operano anche pazienti vigili?
"Sì, nei casi in cui le condizioni e il contesto lo permettono, si può fare un intervento con il paziente sveglio. In questo caso gli si chiede di fare dei movimenti, di ripetere delle frasi o di fare dei calcoli per valutarne man mano l’integrità".
Quali scelte si fanno prima di intervenire?
"A seconda del tipo di intervento e del tipo di malattia si può decidere di togliere un po’ meno tumore, per esempio se ha una crescita molto lenta, per mantenere una funzione del paziente. In questi casi entrano in conto anche altri fattori: come l’età del paziente e le condizioni di salute. In alcuni casi si può poi agire con della radioterapia sul residuo. In altri casi, invece, si decide di sacrificare una parte della funzione per garantire un maggior controllo della malattia".
La radioterapia, invece, quali miglioramenti vive?
"In radioterapia si usano i raggi x, altri tipi di raggi, fino ad arrivare ai protoni che si usano al Paul Scherrer Institute di Villigen. Oggi possiamo portare questa forma di energia in modo molto preciso nelle zone che vogliamo irradiare, in questo modo si riduce al minimo l’irradiazione delle parti sane e sensibili del cervello. La moderna radioterapia è considerata abbastanza sicura e gli effetti collaterali si sono molto ridotti. Chiaramente è una terapia che ha un impatto sulla qualità di vita del paziente, ma è meglio tollerata di qualche anno fa".
Anche la chemioterapia è migliorata?
"Sì, ha avuto notevoli miglioramenti, oggi i farmaci sono più gentili, meglio tollerati. Con la chemioterapia che si usa nei tumori cerebrali più del 90% dei casi non ha grandi effetti collaterali. Ovviamente possono esserci anche effetti collaterali seri, ma si tratta pur sempre di farmaci rivolti a combattere una malattia molto aggressiva".
Quali altre terapie esistono?
"Un argomento di grande attualità è quello dei farmaci antivascolari. Sono delle sostanze che vanno a colpire la proliferazione vascolare del tumore, il quale non riesce più a creare i vasi anomali con cui ottiene nutrimento e ossigeno che sono necessari alla sua crescita. Sono stati impiegati in modo abbastanza esteso, ora alcuni studi li stanno un po’ ridimensionando".
Un paziente può essere curato interamente in Ticino?
"Sì, la maggior parte dei casi può avere qui tutte le cure necessarie. Il fatto che vengano degli esperti internazionali per un meeting ne è testimonianza. Ovviamente con tutte le terapie sperimentali non è possibile avere tutte le nuove molecole in un solo cantone. Ci sono alcune patologie che vengono trattate con i protoni, in quel caso bisogna andare a Villigen. Ma è una minoranza, direi un caso ogni qualche anno".



