Frontalieri al contrario: Massimo, biologo ticinese a Milano per 2000 franchi al mese

Si chiama Massimo Moro, classe 1974, malcantonese cresciuto a Caslano si è laureato nel 2001 in scienze biologiche con indirizzo biomolecolare all'Università dell'Insubria di Varese. I suoi hobby sono lo sport (bicicletta, calcio e corsa) e il cinema (è operatore al cinema Iride di Lugano). Dopo gli studi? Il percorso di Massimo è quello che accomuna tanti della sua generazione: precariato e incertezze nel futuro. Il suo caso, forse un po' più "travagliato" di altri: ricercatore all'università di Varese,
Poi, la svolta. Nel 2006 Massimo è riuscito ad ottenere una borsa di studio per un dottorato come ricercatore presso l'Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano. Moro sta lavorando a un progetto sul carcinoma tiroidale.
Massimo, perché Milano?
“Non avevo alternative. Era l'unica occasione per poter lavorare. Nel 2006 mi hanno proposto una borsa di un anno per un dottorato all'Istituto Tumori di Milano”.
A quanto ammontava il mensile per contratto?
“900 euro”.
Novecento euro…
“Ai tempi abitavo a Canobbio con la mia ex fidanzata e ci dividevamo le spese per l'appartamento che ammontavano a 800 euro circa al mese. Ad incidere di parecchio erano le spese di trasferta da sopportare per raggiungere Milano. Prima che firmassi sono riuscito a convincere il mio responsabile a ritoccare verso l'alto la cifra, arrivando a 1.050 euro al mese”.
Qualcosina in più...
“Non molto, ma l'alternativa era, appunto, il non fare niente”.
In compenso ha la fortuna di lavorare all'Istituto Tumori di Milano. Come si dice, “fa curriculum” ed è un investimento per il futuro, no?
“Lo spero, ma devo essere sincero: la ricerca in Italia non è molto stimolante”.
Perché non è stimolante?
“Il problema sta nel fatto che sono soltanto i capi ad essere assunti. Ciò vuol dire che sono gli unici ad avere uno stipendio sicuro e a pubblicare i risultati delle proprie ricerche sulle riviste scientifiche. Gli altri invece sono tutti come me, con borse di ricerca, perché non si assume più nessuno. Si guadagna poco niente, il lavoro è fondamentalmente di fabbrica e quelle che potrebbero essere le possibilità per crescere professionalmente - come per esempio le pubblicazioni o la partecipazione ai congressi - sono praticamente precluse”.
Precluse?
“In due anni non ho ancora pubblicato niente”.
Niente?
“Sì, perchè ti fanno lavorare su un progetto per 4 o 5 anni soltanto con lo scopo di vedersi la pubblicazione su Nature, togliendo di conseguenza a noi giovani ricercatori la possibilità di migliorare il nostro curriculum attraverso la pubblicazione dei risultati ottenuti grazie alle nostre ricerche”.
I congressi invece?
“Costano troppo e mancano i fondi. Quando poi si riesce a parteciparvi e a esporre i propri risultati c'è spesso il pericolo che altri te li rubino. E perciò bisogna fare tutto di nascosto e in fretta per arrivare alla pubblicazione per primi. E non per arrivare al risultato”.
Quindi si punta tutto sulla pubblicazione e non sui risultati...
“Sì, questa è in breve la situazione della ricerca in Italia che io ho constatato”.
Peggio di quanto si racconta...
“Sulle difficoltà nel campo della ricerca in Italia se ne parla e il problema è arcinoto. (vedi i reportage di rai3) E anche io sono tentato a volte di andarmene negli Stati Uniti, dove i capi ti ascoltano e non ti guardano dall'alto verso il basso”.
In questa situazione c'è qualcosa di positivo?
“Quest'anno mi hanno proposto di fare il dottorato internazionale e mi hanno alzato il mensile a 1300 euro al mese. Ma ho ancora due anni davanti a me e sinceramente preferirei, nel caso trovassi un posto di lavoro serio e con una paga dignitosa, abbandonare il PhD (dottorato)".
Non lo finirebbe?
“No, perchè, ripeto, il lavoro è poco stimolante e non si intravedono possibilità di crescita e di miglioramento”.
E i suoi colleghi in Istituto?
“Fanno la stessa cosa. Inviano candidature dappertutto fino a quando trovano qualcosa nel privato e poi scappano. C'è un ricambio folle di personale. In due anni ho visto andar via dieci persone su venti”.
In Ticino l'ambiente della ricerca com'è?
“Vorrei tanto saperlo, ma finora non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo. Parlo soltanto ora per sentito dire”.
E che ti dicono i tuo amici-colleghi?
“Ho sentito che l'ambiente al Cardiocentro dal punto di vista professionale e della possibilità di crescita è decisamente migliore”.
Ricapitoliamo. 33 anni, anni di studi e di ricerca, centinaia di candidature e ora a Milano...
“Beh, ho cambiato casa. Da Pregassona mi sono spostato a Morbio. Ogni giorno ho due ore e mezza in meno di viaggio da affrontare”.
Tutto qui?
“Grazie all'Euro forte ora guadagno quasi 200 franchi in più al mese... Che per essere un dottorato non sono pochi”.
Non mi convince Moro… Sussidi ne ricevi?
“Sono riuscito a ottenere l'anno scorso il sussidio per la riduzione del premio di cassa malati. Altri non ne chiedo”.
E scusi, domanda spontanea... Come fa a campare?
“Si resta a casa e alla domenica si va a mangiare dai genitori.”
Vacanze?
“L'anno scorso ho trascorso due giorni in montagna con gli amici”.
Pizzeria?
“Le pizzette che mi posso permettere sono quelle che trovo sui banconi nell'ora dell'aperitivo”. (ride)
L'auto?
“Tasto dolente. Ho quella che aveva comperato la mia ex fidanzata: le sto restituendo i soldi con 100 franchi al mese”.
La spesa?
“Ho escluso la carne. Compro tutti i prodotti sottoprezzo della Migros”.
E in Ticino segue ancora l'attualità. Leggi i giornali?
“Sempre meno. Trovo il tempo di leggere il giornale dai miei quando li vado a trovare alla domenica. Tutto qui. E poi, sinceramente, mi sembra che il livello delle discussioni politiche stia scadendo. Tanta aria fritta”.
Deluso e arrabbiato...
“Si metta nei miei panni… E mi spiego. Io conosco molte persone che hanno studiato con me a Varese che lavorano in Svizzera e alle volte mi chiedo seriamente come sia possibile che io, dopo sei anni di ricerca di un posto nel settore, non sia mai riuscito ad avere neppure la possibilità di avere un colloquio con una ditta farmaceutica ticinese. L'unica ditta privata che mi ha chiamato per un colloquio è stata una ditta di Sesto San Giovanni”.
Da cosa deriva questa situazione?
“Sarò banale, ma posso affermare tranquillamente che i datori prediligono gli italiani semplicemente perché costano di meno. Non di certo perché sono meglio formati di noi. Tante volte sono tentato di mettere nel curriculum di essere disposto a lavorare anche per 3000 franchi al mese. Ma poi non lo faccio per due motivi: per la mia dignità e per difendere la mia categoria, che deve continuare ad essere riconosciuta e valorizzata”.
Però ora di franchi ne guadagna 2000 scarsi...
“Ora che vivo a Morbio riesco a mettere da parte 100 franchi al mese. Non sempre però, perché ogni tre mesi devo pagare 120 franchi di contributo all'AVS”.
Seguo la sua ironia… E grazie ai bilaterali ha la possibilità di fare esperienza lavorativa all'estero...
“Diciamo che non c'erano alternative. Quando sento certe discussioni che dicono che con i bilaterali non ci sono stati problemi per i lavoratori ammetto che la cosa non mi va proprio giù... Di certo sono i datori di lavoro ad avere avuto i vantaggi. Non di certo noi lavoratori”.
Datori di lavoro, lavoratori. Dalla dicotomia mi sembra di intuire che Lei è di sinistra?
“Lo ero. Oggi faccio molta fatica a capire certe sue posizioni. Diciamo che sono apartitico. Alle ultime cantonali ho votato scheda senza intestazione”
Insomma, rassegnato…
“Beh, io capisco che dare pari opportunità a tutti sia giusto, però che siano pari opportunità per tutti davvero. Come fa ad esserci pari opportunità quando, con la stessa formazione e lo stesso curriculum, le aziende ticinesi scelgono il lavoratore frontaliere perché si fa pagare 3mila franchi? E questo fa riflettere. Ancor di più quando mi rendo conto che dopo aver mandato un centinaio di candidature, l'unico colloquio l'ho avuto a Sesto San Giovanni”.
I suoi amici ed ex colleghi di Università invece hanno trovato lavoro in Svizzera...
“Ne ho una decina che lavorano in Svizzera e guadagnano dai 3 ai 4mila franchi. Non ce l’ho di certo con loro che oltre ad essere miei colleghi, sono anche amici. Ma la mia domanda è: come si può in Ticino permettere che un laureato venga pagato 3mila franchi al mese? O questi miei amici mi raccontano frottole e se quello che mi dicono corrisponde al vero, qui c'è veramente qualcosa che non va”.
Perché?
“Perché ora sono costretto anch'io a sognare i 3mila franchi al mese, perchè se me li offrissero ci andrei subito e di corsa”.
Colpa dell'Europa?
“E' uno dei risultati dei bilaterali. Se cinque anni fa mi avessero offerto 3mila franchi avrei riso loro in faccia. Oggi invece accetterei senza batter ciglio”.
E la sinistra che colpe avrebbe?
"Ripeto: la sinistra non riesce a capire che in questa situazione l'affare lo fanno solo i datori di lavoro. Si sta creando una guerra tra poveri e ci stiamo adattando ai livelli italiani e ci stiamo “sudamericanizzando”".
Sudamericanizzando… Mi faccia capire, allora non è soltanto una questione di busta paga?
“No, il problema non è soltanto economico, ma anche sociale. Il pericolo in Ticino è che con questa politica salariale non si fa che demotivare chi lavora”.
Si spieghi...
“E' semplice. Se un ricercatore, un biologo viene sottopagato, inevitabilmente comincerà ad avere dubbi sul valore che può dare per quello che fa e inevitabilmente è l'ambiente di lavoro a risentirne e, di conseguenza, la capacità e la qualità di produzione. Questa politica porta solo danni, perchè così in Ticino si crea, alla lunga, un sistema simile a quello che sto vivendo a Milano, dove da una parte c'è gente con il privilegio di avere la propria posizione (che difende in tutto e per tutto) e dall’altra un continuo ricambio di manodopera pregiata a basso costo. Con stipendi che si abbassano sempre di più”.
Prospettive non molto rosee...
“Beh, almeno, a livello personale, per i prossimi 2 anni non mi cacciano. Ed avrò un pezzo di carta in più. Per quello che oggi può valere. Alle volte mi dico che era meglio andare a lavorare a 14 anni”.
Il suo futuro?
"Sarebbe bello avere una famiglia, ma sono solo, per ora, sogni. Anche perché concretamente, quella che mi si prospetta, è l'emigrazione. Verso la Svezia, l'Inghilterra o gli Stati Uniti".



