Il regista ticinese Mirko Aretini ricorda la visita a casa del grande fotografo scomparso
LUGANO - Lo aveva incontrato qualche mese fa nella sua casa di Casale Marittimo per coinvolgerlo in un lavoro documentario su Max Huber e al termine di quella visita Oliviero Toscani, già provato dalla malattia, lo salutò con quel suo tipico sorriso di chi sembrava ancora una volta volersi prendere gioco della sofferenza e della morte che sapeva avrebbe bussato presto alla sua porta.
È uno dei momenti che Mirko Aretini, regista ticinese, non riesce a togliersi di mente adesso che il grande fotografo si è congedato per sempre da quel teatro del mondo che aveva - in un modo unico - sbugiardato, deriso, accusato con la sua arte, infondendo alla fotografia una nuova linfa materica in un panorama troppo spesso canonico.
Una giornata (intera) particolare - «Ho trascorso tutta la giornata con lui e ciò che inizialmente mi ha sorpreso è stato il fatto che fosse quasi rammaricato per avermi fatto fare tutta quella strada per arrivare da lui» ricorda il regista.
Nonostante le sue condizioni di salute fossero compromesse, «la prendeva con filosofia e accettava la cosa per quello che era. Pur sapendo che si ha una data di scadenza, continuava a ideare e aveva in mente dei progetti che lo avrebbero occupato per i prossimi due anni»
Nella giornata trascorsa con Oliviero Toscani nella casa dove l'artista viveva con la famiglia, l'impegno di lavoro (il fotografo si è prestato gratuitamente nel documentario su Huber) si è mescolato spesso a momenti riflessivi e a conversazioni di vario genere, compresa quella che si portava dietro il tema del doversene andare.
«Resto fino a quando la testa è accesa e mi dispiace soltanto di lasciare la mia famiglia» - «La cosa che più gli dispiaceva lasciare, mi disse, era la famiglia - racconta Aretini - i suoi figli, i suoi nipoti. Per il resto si mostrava come sempre irridente verso la morte. A patto che non lo facesse soffrire, come mi ha ripetuto. Finché il corpo e la lucidità mentale avessero retto, "io resto" diceva, ma nel momento che quei due elementi vitali sarebbero venuti a mancare avrebbe preso in considerazione l'idea di venire in Svizzera a farsi dare la morte».
Il regista ticinese, in un post a ricordo dell'artista, ha anche sottolineato come l'incontro con Toscani sia stato «un regalo incredibile, anche per la purezza e l'intensità con cui si è aperto e ci ha accolto, nonostante tutto», a conferma che Toscani è rimasto Toscani fino alla fine, bastava vederlo anche nelle ultime apparizioni televisive.
La gentilezza negli occhi - «Aveva un sorriso sincero e sornione, la gentilezza negli occhi e quello sguardo capace di andare oltre il semplice confine dell'orizzonte» ha aggiunto.
«Non perdere tempo con gli stupidi, perché di tempo ce n'è già poco - Fra le cose che Toscani gli ha confidato v'è stato anche il senso di avvilimento provato nel «doversi svegliare di colpo un giorno vecchio, malato e stanco. Fino a 2 anni fa - mi ha raccontato - aveva l'energia di un 40enne. Viaggiava, andava ovunque. Improvisamente in poco tempo tutto questo non c'era più».
Onnivoro della vita, trovava inaccettabile rinunciare ai piaceri del quotidiano, «al buon vino che produceva con la sua famiglia nella tenuta, al buon cibo» ma non sacrificava - seppur debilitato - il dono innato di dispensare consigli. Due quelli che Aretini si è visto recapitare: «Il primo, quello di non perdere tempo con gli stupidi perché di tempo ce n'è già poco; il secondo, di evitare di cercare di fare qualcosa secondo le aspettative altrui. Da lui ho appreso cosa vuol dire la purezza d'animo, il significato di quella libertà non corruttibile che ha mostrato al mondo fino alla fine».