Fabio Regazzi e i suoi 5 simboli svizzeri

Nel discorso del primo agosto il consigliere nazionale punta sui simboli e sui luoghi comuni
CASLANO - Per il discorso del primo di agosto il consigliere nazionale Fabio Regazzi ha tirato dalla valigia cinque simboli, «luoghi comuni» della Svizzera.
A Caslano, dove è stato invitato per il Natale della Patria, Regazzi ha chiesto ai presenti: «quando parlate della Svizzera ai vostri amici o conoscenti, che cosa vi evoca?». Al Consigliere nazionale la Svizzera evoca cinque simboli.
È partito dal cioccolato. Partenza d’obbligo visto che proprio a Caslano c’è una nota azienda che lo produce. Regazzi ha tenuto a precisare di non fare parte di quegli svizzeri che - secondo statistiche - divorano 11 chili di cioccolato a testa in un anno, ma ha sottolineato il successo di quello che è il primo simbolo nazionale: «I dati segnalano una diminuzione delle vendite interne, ma non per quelle all’estero, a riprova di come questo nostro simbolo sia gradito fuori dai confini nazionali. L’attività di esportazione indica quindi una dinamica positiva».
È stato poi la volta del secondo simbolo, quello delle montagne. «Quando però parlo delle montagne ticinesi con i colleghi confederati, constato che alcuni di loro ci immaginano in chalets bucolici, attorniati da allegre caprette e bambine con le trecce stile Heidi. Per confutare questi stereotipi mi spendo in descrizioni riguardo l’architettura spartana delle nostre cascine, e la dura vita di montagna, ben più rude dei luoghi raffigurati sulle cartoline». Un’occasione ghiotta per criticare la politica dei rustici, casette che oggi «sono vittime di una regolamentazione che prevede limitazioni assurde e per certi versi ridicole, riducendo chi si avventura nell’impervio percorso del risanamento di una cascina a doversi infine adattare a condizioni di abitabilità peggiori a quella delle mucche».
Animale, la mucca, che ragazzi tira fuori dall’ipotetica valigia dei simboli svizzeri. «Confesso che ho un certa simpatia per le mucche. Una bella foto del panorama svizzero deve giocoforza mostrare una mucca da una qualche parte». Ma critica l’abuso dell’immagine del nostro animale: «Oggi le ritroviamo agghindate come delle miss in taluni concorsi, o nel merchandising dal gusto discutibile servito ai turisti nelle versioni più inverosimili, dal cinese all’arabo, dal formato gigante alla miniatura. Ma come svizzeri abbiamo una certa responsabilità per queste rivisitazioni del nostro simbolo nazionale, soprattutto da quando l’abbiamo proposta in una discutibile variante viola su una tavoletta di cioccolato di una nota marca svizzera o intenta destreggiarsi in improbabili palleggi da far invidia a Lionel Messi».
Sorvolando velocemente sul quarto simbolo, i gerani, «non avendo un pollice particolarmente verde, abbandono un terreno per me ostico, e passo al simbolo successivo» che è quello dell’orologio e della puntualità, un mito quest’ultimo che appartiene al passato visti i recenti esempi di mancanza di puntualità in vari settori, in primis quello delle FFS che Regazzi non ha mancato di evidenziare, seppur sminuendo la portata dei ritardi. «Gli abitanti dei Paesi a noi vicini, e in particolari gli italiani, ammirano con occhi lucidi la puntualità dei nostri treni. Al che noi, alla luce di recenti fatti, saremmo tentati di replicare: “ma no, non è più come una volta, anche i treni svizzeri sono oggi spesso in ritardo”. Ma in fondo parliamo di alcuni minuti, magari anche 10, quando altrove si toccano medie dai 30 minuti alle 2 ore 45». Regazzi evidentemente è poco aggiornato e non sa che i ritardi a volte superano anche le mezzora e arrivano a un’ora. Lo sanno bene coloro che prendono quotidianamente i treni.



