I simboli religiosi non vanno ostentati nei parlamenti

Si dovrà però ancora determinare se questa disposizione è compatibile con il diritto federale
GINEVRA - I gran consiglieri ginevrini hanno emendato ieri sera con 48 voti favorevoli e 46 contrari la legge sulla laicità dello Stato, allo scopo di reintrodurre il divieto di ostentare simboli religiosi nei parlamenti.
Si dovrà però ancora determinare se questa disposizione è compatibile con il diritto federale.
«Reintrodurre un divieto che è già stato invalidato dalla Camera costituzionale della Corte di giustizia comporta un rischio di incostituzionalità», ha avvertito Francisco Taboada, di Libertés et justice sociale (Libertà e giustizia sociale), sostenendo che i deputati rappresentano la popolazione, a differenza del Consiglio di Stato o dei dipendenti statali, che devono rispettare la neutralità religiosa.
Un punto di vista condiviso dal gran consigliere dei Verdi Yves de Matteis: «I rappresentanti eletti dal popolo non dovrebbero rappresentare lo Stato. È una questione di libertà religiosa, di parità di trattamento e di rappresentanza democratica», ha sostenuto, sottolineando che non ci sono stati problemi concreti con i simboli religiosi nel Gran Consiglio.
Con uno scolapasta in testa - Tuttavia, una maggioranza ristretta ha difeso una visione rigida della laicità reintroducendo il divieto di simboli religiosi esterni per i rappresentanti eletti in Gran Consiglio e nei legislativi comunali, e ha anche adottato un emendamento costituzionale generale per far esaminare questa disposizione a livello federale.
«Per la qualità dei dibattiti e nell'interesse della collettività, il Parlamento deve rimanere un luogo neutrale», ha dichiarato la deputata del PLR Céline Zuber-Roy, che indossava uno scolapasta in testa - «segno della sua recente conversione al pastafarianesimo» - per illustrare l'impossibilità di ascoltare quando abiti o accessori sono troppo visibili.
«La vostra libertà religiosa non è un problema», ha sottolineato inutilmente la consigliera di Stato Carole-Anne Kast, responsabile del Dipartimento delle istituzioni e dei media digitali, che ha avvertito: «State minando la separazione dei poteri. È la magistratura a dire cos'è un diritto fondamentale».




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