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SVIZZERA

Droni e guerra ibrida: «Solo l'8% dei cieli svizzeri è protetto»

Urs Loher esprime grande preoccupazione per la difesa aerea elvetica e ne trae un bilancio amaro: «Mentre in Europa è corsa agli armamenti noi ci stiamo praticamente disarmando»
20min/Stefan Lanz
Fonte Aargauer Zeitung
Droni e guerra ibrida: «Solo l'8% dei cieli svizzeri è protetto»
Urs Loher esprime grande preoccupazione per la difesa aerea elvetica e ne trae un bilancio amaro: «Mentre in Europa è corsa agli armamenti noi ci stiamo praticamente disarmando»

BERNA - La minaccia di una guerra ibrida si fa sempre più concreta in Europa e anche la Svizzera corre ai ripari. In una lunga intervista all’Aargauer Zeitung, il capo degli armamenti Urs Loher lancia un allarme sullo stato della sicurezza nazionale: oggigiorno il Paese è in grado di difendere solo l’8% del proprio spazio aereo e, anche con l’arrivo dei sistemi Patriot, «la copertura non supererebbe il 30%».

La minaccia di una guerra ibrida - Il nodo più critico riguarda i droni, diventati l’arma simbolo dei conflitti moderni. «In Ucraina vediamo quanto sia rapida l’evoluzione. Un drone commerciale può essere bloccato con i jammer, ma una volta modificato diventa molto più difficile», spiega Loher. «All’inizio la Russia impiegava sei mesi per adattarsi alle contromisure. Oggi bastano una o due settimane». Per questo, a suo avviso, la Svizzera dovrà puntare su laser ad alta energia o droni intercettori: entro tre-cinque anni dovrà sapersi difendere da veri e propri sciami di velivoli.

L’acquisto di un primo sistema antidroni è atteso «entro la fine dell’anno, o al più tardi all’inizio del 2026», ma Loher avverte che non sarà sufficiente. Servirà un ecosistema nazionale di tecnologie avanzate, che la neonata «Task Force Droni» dovrà favorire, studiando munizioni, sensori e sistemi di controllo. «L’obiettivo è creare un polo industriale capace di avere un ruolo di primo piano nello sviluppo: un vero Drone Country».

Svizzera partner poco affidabile - Sul piano internazionale, Loher denuncia il rischio che la Svizzera diventi un partner poco affidabile. Il motivo: la legge sul materiale bellico, che vieta la riesportazione di armi svizzere verso Paesi in guerra. «La Germania non può inviare munizioni all’Ucraina se provengono dalla Svizzera. Senza maggiore flessibilità, nessuno comprerà più il nostro armamento», avverte. Per questo saluta positivamente l’intenzione del Parlamento di modificare la normativa, così da ricostruire la fiducia dei partner.

Il problema è aggravato dai tempi di consegna: «Le catene di approvvigionamento sono sature e gli Stati Uniti ci attribuiscono una priorità molto bassa: siamo al livello 13 su 15». L'evasione degli ordini, quindi, può richiedere fino a otto anni. Recentemente Loher è stato al Pentagono. «Da parte degli Stati Uniti c’era molta comprensione per la nostra situazione, ovvero che attualmente non siamo in grado di difendere il nostro spazio aereo. Lavoriamo intensamente per ottenere due unità di comando dei sistemi Patriot, in modo che le truppe possano già esercitarsi». E ribadisce: «Tutti i Paesi europei stanno riarmando, rinnovando le scorte dopo aver sostenuto l’Ucraina. La Svizzera invece resta ai margini». Mentre «la Gran Bretagna costruisce sette fabbriche di munizioni, noi ci stiamo praticamente disarmando».

Per Loher, la via d’uscita passa dalla ricostruzione dell’industria bellica nazionale e dal rafforzamento del trasferimento tecnologico con università e centri di ricerca, soprattutto nei campi dell’intelligenza artificiale, dei droni e della robotica.

Questione F-35 - Quanto al dossier F-35, il Consiglio federale dovrebbe chiarire a fine novembre. «Non prevediamo ritardi», afferma Loher, indicando tre possibili scenari: «riduzione della flotta, credito aggiuntivo o rinuncia agli offset». «Ma la scelta di assemblare quattro velivoli con Ruag rende quest’ultima opzione praticamente impossibile».

Il bilancio finale del capo dell’armamento è amaro: «È deprimente vedere con quale determinazione Germania, Francia o Danimarca reagiscono alle minacce, mentre noi impieghiamo quattro anni per discutere una riforma. La Svizzera è sempre stata male preparata ai conflitti del secolo scorso e ha avuto molta fortuna. Ma non sono sicuro che la fortuna sia una strategia saggia».

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