Cerca e trova immobili
INTERVISTA

Parla il medico che ha dato la "pillola della morte" a Pietro D’Amico

Gli diagnosticano un cancro e lui sceglie il suicidio assistito. Ma l’autopsia svela che non era malato. Il medico: "Non mi pento di quello che ho fatto, ho rispettato la volontà del paziente e il codice professionale"
Colourbox
Parla il medico che ha dato la "pillola della morte" a Pietro D’Amico
Gli diagnosticano un cancro e lui sceglie il suicidio assistito. Ma l’autopsia svela che non era malato. Il medico: "Non mi pento di quello che ho fatto, ho rispettato la volontà del paziente e il codice professionale"
BASILEA - Pietro D'Amico è un uomo triste: 60 anni, ex magistrato, vive da solo e ha un cancro. O almeno così dice, e forse lo crede. L'11 aprile 2013 sale in auto e dalla Calabria guida fino a Basilea, per avere un suicidi...

BASILEA - Pietro D'Amico è un uomo triste: 60 anni, ex magistrato, vive da solo e ha un cancro. O almeno così dice, e forse lo crede. L'11 aprile 2013 sale in auto e dalla Calabria guida fino a Basilea, per avere un suicidio assistito in una clinica. Le vere ragioni di quel gesto? Le chiediamo a chi gli consegnò il bicchiere con il farmaco letale: la dott.ssa Erika Preisig.

Preisig: “D'Amico non aveva assolutamente l'aria di una persona depressa. Ci eravamo già sentiti diverse volte, cinque in tutto. Mi aveva fatto l'impressione di una persona per bene, responsabile, che sapeva cosa faceva. Una persona tranquillamente rassegnata al suo destino di malato terminale”.

Non era così, a quanto pare: l'autopsia sul cadavere ha escluso che avesse una malattia inguaribile.
“D'Amico mi ha presentato tutta la documentazione clinica necessaria a dimostrare che aveva il cancro. Non mi pento di quello che ho fatto, ho rispettato la volontà del paziente e il codice professionale”.

Lei però non ha fatto delle verifiche sulla cartella clinica di D'Amico?
“Non mi è sembrato il caso”.

Perché?
“La legge svizzera prevede che il medico disponga delle verifiche solo quando ha dei motivi di sospettare della scientificità della documentazione clinica”.

Quindi questo era il caso: la cartella di D'Amico è stato un errore scientifico.
“Io non potevo indovinarlo. E se anche l'avessi indovinato, avrei dovuto per legge chiedere al paziente il permesso di procedere con delle verifiche. Ma dubito che D'Amico me lo avrebbe concesso: era molto provato e deciso al passo estremo”.

E se l'avesse fatta falsificare, quella cartella?
“Lo escludo. Parliamo di un magistrato. Mi fidavo di lui e mi fido tutt'ora”.

Ma D'Amico, a quanto mi risulta, si era informato sul suicidio assistito già nel 2009, presso un intermediario italiano. E ci aveva provato altre volte, prima che il cancro gli fosse diagnosticato.
“Non saprei. D'Amico si è iscritto all'associazione di cui faccio parte, Life Circle, nel 2010. Di altro non posso parlare, ho promesso che avrei mantenuto il massimo riserbo e che avrei parlato solo con i suoi familiari, se si fossero fatti vivi una volta saputo della morte. Ma finora hanno preferito parlare con i giornali”.

🔐 Sblocca il nostro archivio esclusivo!
Sottoscrivi un abbonamento Archivio per leggere questo articolo, oppure scegli MyTioAbo per accedere all'archivio e navigare su sito e app senza pubblicità.
Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
COMMENTI
NOTIZIE PIÙ LETTE