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«Ho giocato poco, ma sono sceso in pista a Berna in finale e... c'era anche Federer»

Nel 2010 Federico Tamò aveva disputato un tempo di gara-3 dell'ultimo atto con il Ginevra: «Mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto».
Freshfocus, archivio
Federico Tamò nel 2010, in occasione di gara-3 della finale fra Berna e Ginevra.
«Ho giocato poco, ma sono sceso in pista a Berna in finale e... c'era anche Federer»
Nel 2010 Federico Tamò aveva disputato un tempo di gara-3 dell'ultimo atto con il Ginevra: «Mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto».
L'esordio dell'ex portiere ticinese con le Aquile è invece avvenuto nel 2008 contro il Rapperswil: «Ho approfittato del momento cercando di divertirmi senza compromettere la mia prestazione e alla fine è stata una soddisfazione non subire reti».
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BELLINZONA - Sette stagioni trascorse al Ginevra di Chris McSorley – dal 2007 al 2014 – e due finali di playoff perse: la carriera di Federico Tamò.

Nonostante il 40enne ticinese abbia ricoperto soltanto un ruolo da comprimario – visto che è sempre stato il portiere di riserva delle Aquile – si è comunque rivelato fondamentale per lo spogliatoio. Oltre a garantire la sua presenza durante gli allenamenti è infatti stato anche un prezioso consigliere per il suo coach, poiché conosceva il gruppo alla perfezione e ha potuto assistere a gran parte delle partite dalla panchina. «Avendo molte meno responsabilità sull'azione di gioco, ho sempre cercato di dare il mio contributo in qualsiasi modo possibile per aiutare al meglio i miei compagni, che erano in pista a prendere colpi e a sudare per le vittorie», ha raccontato proprio Tamò. «In sette anni ho giocato pochi match, ma mi sono divertito e vivendo quotidianamente un ambiente di professionisti ho avuto la possibilità di maturare sotto ogni aspetto».

Cresciuto nel vivaio del Bellinzona, il sopracenerino ha deciso nel 2003 – a 19 anni – di proseguire gli studi, iscrivendosi alla facoltà di scienze farmaceutiche all'università di Ginevra. Inizialmente ha militato in squadre di Prima e Seconda Lega, dopodiché a 23 anni è arrivata la chiamata dalla National League.

«Mi ero trasferito a Ginevra principalmente per motivi di studio e visto che l'hockey ha sempre fatto parte della mia vita, ho deciso di continuare a giocare senza avere troppe pretese. Dopo quattro anni nei campionati minori però, grazie a un po' di fortuna, ho ricevuto un'opportunità insperata, ritrovandomi quasi per caso in uno spogliatoio di campioni. Ho vissuto un percorso sportivo atipico e mai avrei pensato di poter approdare in un club della massima serie. Si può dire che mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto».

Inizialmente Tamò ha preso il posto di Michael Tobler - spostato a Losanna fra i cadetti - e ha condiviso i pali insieme a Gianluca Mona e Benjamin Conz, dopodiché nell'ultimo quinquennio è diventato il vice di Tobias Stephan.

«Dopo aver vissuto il dualismo fra Mona e Tobler, che non ha funzionato, la dirigenza ha deciso di affidarsi soltanto a un estremo difensore titolare e dopo Mona è arrivato Stephan. In quel contesto serviva un portiere che facesse sostanzialmente numero, che garantisse la presenza agli allenamenti e che fosse d'accordo di stare in panchina durante le partite. Ho accettato di buon grado e anche se non ho avuto un ruolo da protagonista credo di aver svolto bene il mio compito, dato che sono rimasto a Les Vernets per sette stagioni».

In quegli anni il Ginevra ha sfiorato due volte il titolo, nel 2008 contro lo Zurigo (serie 2-4) e nel 2010 con il Berna, dove è stata necessaria gara-7 per decretare il vincitore.

«È stato un vero peccato non aver potuto vivere l'emozione di salire sul tetto svizzero. Probabilmente eravamo una squadra ancora troppo giovane per vincere il campionato, ma quel percorso di crescita è poi servito al club per diventare più solido e per riuscire a togliersi in seguito le proprie soddisfazioni. Il mio Ginevra era un gruppo particolare, a quei tempi c'era infatti una cultura della vittoria che non veniva apprezzata da tutti gli avversari. Eravamo molto fisici, non ci piaceva perdere e in pista facevamo sentire la nostra presenza».

E proprio nel 2010 – in gara-3 della finale dei playoff – il ticinese ha ricevuto l'onore di giocare gli ultimi 20' di gioco.

«Sono sceso in pista a Berna con 16¦777 spettatori presenti sugli spalti – più il mitico Roger Federer – ed è stato come vivere un sogno. Alla fine del secondo tempo stavamo perdendo con quattro gol di scarto e non c'era verso di recuperare il pesante passivo. Gli animi si stavano inoltre scaldando in maniera eccessiva, per cui è stata più che altro una mossa per proteggere Stephan ed evitare che subisse qualche brutto intervento. Per quanto mi riguarda, nonostante un errore grossolano commesso dietro la gabbia, sono miracolosamente riuscito a salvare il mio personale shut-out in extremis, tuffandomi sul disco e deviando la conclusione sul palo».

L'esordio risale invece al 2008, nell'ultimo match di regular season con il Rapperswil.

«Mi hanno improvvisamente buttato nella mischia, ma solo perché non avevo mai giocato e lo staff voleva capire come avrei potuto reagire in caso di emergenza nei playoff. È stato emozionante trovarmi per la prima volta in pista con così tanti spettatori al seguito. Non ho riflettuto molto, ho approfittato del momento cercando di divertirmi senza compromettere la mia prestazione e alla fine è stata una soddisfazione non subire reti. Il momento più bello della mia carriera? Ci sono stati degli alti e dei bassi ma ho apprezzato ogni singolo istante, anche perché non sono mai stato un predestinato. Resta sicuramente indimenticabile il momento in cui sono entrato per la prima volta nello spogliatoio con la borsa. Non avevo ancora realizzato cosa significasse stare in mezzo a dei professionisti e quanto sarebbe stata unica la mia avventura».

Nel 2014, a quasi 30 anni, il sopracenerino ha poi deciso di appendere i pattini al chiodo e di sfruttare la laurea ottenuta in scienze farmaceutiche nel 2009. Attualmente è il responsabile della Farmacia Malé di Bellinzona.

«Ho avuto la fortuna di sensibilizzarmi a questa professione fin da piccolo, poiché era il mestiere dei miei genitori, dai quali ho rilevato la Farmacia di famiglia nel 2017. Dalla parte materna siamo farmacisti da quattro generazioni, per cui c'è questa missione di voler continuare la tradizione. Adoro essere a contatto con le persone e visto che ho anche la possibilità di gestire un team, riesco a trovare l'energia necessaria per implicarmi in progetti nuovi, che possano rafforzare questa professione in rapporto alle sfide che dovremo affrontare in futuro. Sono inoltre molto attivo anche a livello dell'ordine dei farmacisti del Canton Ticino (OFCT), di cui sono diventato portavoce nel 2019. A livello di politica professionale cerco sempre di impegnarmi e di dare il massimo contributo in questo ambito, sia con l'associazione di categoria svizzera PharmaSuisse, sia a livello della cooperativa nazionale dei farmacisti, dove ho un mandato nel Consiglio d'Amministrazione. Mi piace servire una causa e se prima era la squadra di hockey, ora vivo qualcosa di più professionale e concreto, dove posso mettere a disposizione tutte le mie competenze».


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